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  • CARDIO TRAINING O ALLENAMENTO AEROBICO PER DIMAGRIRE?

    Di Chiara De Nigris, DSM e Claudio Suardi MFS La maggior parte dei decessi è causata da malattie cardiovascolari, dovute soprattutto ad aterosclerosi con processo finale rappresentato da ridotto apporto di sangue e ossigeno a organi e tessuti, cardiopatia ischemica, ictus, insufficienza renale e arteriosa periferica. Oltre a fattori di rischio già noti come ipercolesterolemia, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, obesità e diabete mellito, altri studi hanno evidenziato una ridotta mortalità e morbilità generale (in particolare cardiovascolare), nei soggetti allenati e che i sedentari hanno un “rischio relativo” doppio di sviluppare una cardiopatia ischemica rispetto agli allenati. Il fattore sedentarietà ha una rilevanza simile a quella degli altri fattori di rischio per cui la strada della prevenzione è ovviamente tracciata. Passare perciò da inattivi ad attivi a livello cardiovascolare con un opportuno allenamento è la soluzione. Il cuore è l’unico “muscolo” che aumenta il suo rendimento sotto sforzo rispetto alla condizione di riposo ed è quindi facilmente intuibile che è un organo predisposto al lavoro e non al riposo! Gli stessi studi hanno tuttavia evidenziato che l’effetto preventivo e protettivo dell’attività fisica dura fino a quando il soggetto è in attività o poco oltre. Molte palestre suddividono gli spazi a disposizione dando molto risalto ai simulatori (di nome e non di fatto) aerobici. Programmi tecnologici con diversi livelli d’intensità ma con poca o nulla programmazione e personalizzazione! Ore passate alla ricerca illusoria del dimagrimento dimenticando invece la vera utilità dell’allenamento aerobico, il miglioramento del condizionamento cardiovascolare. Attività aerobica per dimagrire? Quante calorie in 30’ d’attività? Quanti grammi di grasso? A queste domande ha risposto in modo esauriente Enrico Arcelli che, attraverso le sue equazioni ha ricostruito il consumo calorico della camminata in questo modo: CONSUMO CALORICO CAMMINATA = 0,5 Kcal x Km percorsi x Kg Peso Corporeo Esempio: se camminate a 6 Km/h, pesate 60 Kg e in 30’ percorrete 3 Km. 0,5 (Kcal) x 3 (Km percorsi) x 60 (Kg di peso corporeo) = 90 Kcal. CONSUMO GRASSI CAMMINATA =Km percorsi x Kg Peso Corporeo / 35 3 (Km percorsi) x 60 (Kg peso corporeo) diviso 35 = 5 grammi di grasso! Allenamento per “bruciare grassi” quindi o per il cuore? Abbiamo detto che numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che lo sviluppo e la progressione dell’aterosclerosi sia favorito da alcune condizioni negative dette “fattori di rischio cardiovascolare” che, per quanto riguarda l’aspetto clinico sono il colesterolo e i trigliceridi “alti”, il fumo, l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il diabete mellito, l’età, il sesso maschile e la familiarità. I meccanismi mediante i quali un mirato, progressivo e completo training fisico provocano una riduzione del rischio cardiovascolare sono molteplici. In primo luogo un senso di benessere generale e una riduzione dello “stress” che sottostanno a una migliorata capacità funzionale generale. A esso si associa inoltre una riduzione di tutti gli altri fattori di rischio come: Riduzione della colesterolemia oltre che del miglioramento del profilo dei lipidi plasmatici. Riduzione di peso in modo “fisiologico”. Miglioramento della composizione corporea con diminuzione della massa grassa e mantenimento / incremento di quella magra. Riduzione della pressione arteriosa: l’allenamento riequilibra le condizioni emodinamiche, aumentando la gittata cardiaca e riduce, proporzionalmente in misura maggiore, le resistenze periferiche. Molti studi hanno dimostrato una ridotta mortalità nei soggetti allenati, passare da inattivi ad attivi a livello cardiovascolare con un opportuno allenamento è la soluzione. Il cuore non si vede e non lo si espone in spiaggia, ragion per cui è perciò o trascurato o allenato male. L’allenamento va costruito perciò soggettivamente in base alla valutazione delle capacità funzionali del soggetto, in stretta collaborazione tra lo staff medico e tecnico del centro per evitare che nulla sia lasciato al caso e che le persone siano allenate allo stesso modo. L’American College Sport Medicine (ACSM), al fine di evitare che la programmazione dell’allenamento aerobico sia casuale suggerisce le seguenti linee guida generali. FREQUENZA: da due a 3 – 4 giorni / settimana. DURATA: da un minimo di 8 / 10 minuti a un massimo di 45 / 60 minuti. PROGRESSIONE DI LAVORO: Variazione di tempo; Variazione di tempo e intensità; Interval training (rapporto lavoro recupero da 1:3 a 2:2 a 3:1). Come per l’allenamento muscolare, anche nelle attività aerobiche è diffuso un approccio di tipo “quantitativo” a dispetto di quello “qualitativo”. È risaputo che la qualità è sempre meglio della quantità: aumentando i giorni di frequenza e il tempo di allenamento dell’esercizio aerobico l’unica cosa che si ottiene è l’aumento del rischio d’infortuni rispetto a quello dei benefici, già ottimali per 3-4 giorni di allenamento la settimana. In particolare la valutazione iniziale tramite test e/o “fit-check” consentirà tre tipi di risposta individualizzando lo “stato di forma” del cliente e una programmazione così articolata: Per persone sedentarie molto in sovrappeso per cui si rende necessaria un’attività iniziale a bassissimo impatto sotto ogni punto di vista, si consiglia: 55% - 65% Hrmax per 4 – 6 settimane; in seguito alternare su quattro allenamenti settimanali due volte 55% - 65% e due volte 65% - 75% di Hrmax in modo da fornire uno stimolo allenante per spostare lentamente verso l’alto la “soglia”. Programmazione attraverso la frequenza cardiaca di riserva (HRR) in linea generale le percentuali cui fare riferimento in base al proprio livello di allenamento sono: Principianti o soggetti non allenati: percentuale inferiore 50% e percentuale superiore 60% Livello intermedio: percentuale inferiore 60% e percentuale superiore 70% Professionisti e atleti agonisti di medio alto livello: percentuale inferiore 75% e percentuale superiore 85% Un Test semplice e a costo “zero”, apparentemente banale ma che da idea del miglioramento da far percepire ai nostri clienti è di far salire, ad esempio, su un tappeto un nostro cliente “principiante” a velocità 5 Km/h. Dopo 8’ gli rileviamo la frequenza cardiaca (esempio 130 bpm). Key point: In un soggetto sedentario, anche dopo poche settimane d’allenamento, è possibile osservare una riduzione della Frequenza Cardiaca di 8 – 10 battiti il minuto. Dopo tre mesi d’allenamento, ripetiamo lo stesso test. Supponiamo che il nostro cliente sia passato, a parità di velocità, da 130 a 120 battiti al minuto dal primo test. Dieci battiti “risparmiati” al minuto per 60’ x 24 ore x tre mesi (90 giorni) significa passare da 16.848.000 battiti in 90 giorni a 15.552.000 In tre mesi: BATTITI “RISPARMIATI” 1.296.000 … scusate se è “poco”! Abbiamo dato VITA ai nostri anni oltre che anni alla nostra VITA!

  • RISPETTO DELLA VITA IN SALUTE E BODY BUILDING. I LIMITI DEL CORONAMENTO DI UN SOGNO

    Di Chiara De Nigris DSM e Claudio Suardi, MFS Il Fitness come stile di vita di benessere e prevenzione si è affacciato nella nostra società nei primi anni 50’ grazie al pioniere Jack Lalanne, il quale per la prima volta parlò di un miglioramento della vita fisica e morale tramite l’esercizio e una sana alimentazione. Questa idea fu portata avanti da molti fino a giungere a noi. Senza dilungarci inutilmente, possiamo affermare che la storia del Fitness non è altro che la coscienza umana nei confronti del corpo umano. Qualsiasi situazione interessi la società, perché fenomeno “pop”, consente una lettura da più punti di vista, scientifica, antropologica economica, di costume etc. Il Fitness come concetto di base è stato accompagnato da mode e tendenze, alcune tornate ciclicamente, mostrando lo specchio e i bisogni del momento storico corrente. Quando un fenomeno di costume prende piede, è un’esplosione che arriva all’attenzione di tutti ed è totalizzante. Questo significa che non è più riservato ad atleti o appassionati fidelizzati, mediamente informati e competenti, ma anche a neofiti dell’allenamento o curiosi. Negli ultimi anni dopo il boom di Zumba fitness e Crossfit, declinato in tutte le sue peculiarità, sta riprendendo piede il Body Building o Culturismo, che ebbe un periodo di grande fama e consensi tra gli anni 70 e 90. Body Building, significa costruzione del corpo, ricerca dell’armonia delle forme, ipertrofia muscolare, in linea con canoni ben definiti. Nel 2019 ha trovato un mezzo pubblicitario straordinario e alla portata di tutti impensabili quaranta anni fa; Instagram e i social in generale. Una vetrina abbagliante, dove l’immagine la fa da padrona assoluta, dove tutto rifulge, anche se la realtà spesso è ben diversa, ma questo non interessa a nessuno. Il Body Building è una disciplina diversa dalle altre perché dalla preparazione alla competizione l’unico avversario da affrontare è SE STESSI. Dedizione, passione e volontà, rispettando tre punti cardine: RIPOSO, ALIMENTAZIONE ALLENAMENTO. Una strada faticosa e sacrificante, una ricerca ossessiva della perfezione muscolare, un impegno costante che scandisce la vita quotidiana. Per questi motivi, a un certo punto alcuni e lo ripeto, ALCUNI (perché mi riferisco solo a un aspetto di questa disciplina), per esempio un neofita poco incline alla fatica o alla prima sconfitta oppure un atleta che sfiora il podio più e più volte, subisce la tentazione di prendere una scorciatoia assai pericolosa, ossia l’utilizzo di sostanze dopanti illegali. Queste sostanze molto costose sono in grado di modificare metabolismo e assetto ormonale con ripercussioni nel tempo potenzialmente fatali per la salute. Doveroso fare chiarezza a riguardo. Studi “sociali” riguardo a chi passa dall’altra parte della barricata (soprattutto non agonisti), in nome del tutto, subito e facile ha dichiarato che l’uso di sostanze dopanti è dettato da tre ragioni. Migliorare il proprio aspetto fisico, essenzialmente sociali (lo fanno tutti) e di successo sessuale. Vediamo cosa dice la letteratura a proposito di “LO FANNO TUTTI” E “SUCCESSO SESSUALE”, analizzando SOLO DUE prodotti, Testosterone e GH. TESTOSTERONE: la produzione di testosterone nell’uomo giovane, varia da cinque a sette mg/die. L’assunzione esogena può variare da 10/20 mg/die a 100 mg e più. Questo può causare il classico rebound, inibendo la produzione endogena naturale dell'ormone stesso. La lunga inattività dei testicoli, fortemente inibiti, può portare ad atrofia dell'asse ormonale con possibile interruzione di produzione di testosterone. Lo studio di seguito mostra che con una sola fiala da 100 mg, il testosterone endogeno cala immediatamente ricominciando a risalire dopo circa venti giorni. Una fiala può portare a inibizione per 20/30 giorni, venti fiale più di un anno, fate un po’ i conti. Minto CF, Howe C, Wishart S, Conway AJ, Handelsman DJ. Pharmacokinetics and pharmacodynamics of nandrolone esters in oil vehicle: effects of ester, injection site and injection volume. J Pharmacol Exp Ther. 1997 Apr;281(1):93-102. Il testosterone è un ormone sessuale prevalentemente maschile ma, seppure a livelli molto più bassi è prodotto anche nella donna (da un decimo a un venticinquesimo che nell’uomo). Nell’uomo, gli effetti di queste assunzioni con i vari “rimbalzi” possono portare a ginecomastia, aumento del grasso, perdita di forza e libido, diminuzione della massa magra, depressione. Nelle donne (e non solo) gli effetti collaterali possono essere irreversibili come crescita eccessiva dei peli su schiena, petto, stomaco, viso, pelle grassa, acne, perdita di capelli, ipertrofia del clitoride, funzione tiroidea alterata, ecc. Ne vale la pena? ORMONE DELLA CRESCITA In tutti gli studi effettuati sul GH, sono stati riscontrati gravi effetti collaterali come ritenzione di fluidi e di sodio, edemi, ipertensione, diabete, resistenza all’insulina, crescita delle ossa lunghe e piatte. Ipoglicemia, alterata funzionalità tiroidea, acromegalia, deformazione (spesso asimmetrica) delle ossa, ingrossamento del cuore e degli organi interni (addome gonfio), aumentato rischio di leucemia e tumore al pancreas, nausea, vomito, mal di testa, alterazioni nella sfera sessuale, disturbi della vista, ecc. Ne vale la pena? Che cosa può muovere emotivamente tutto questo? Per un atleta possiamo supporre ambizione, carriera, motivazioni economico-lavorative, per un neofita cavalcare il trend del momento oppure provare il piacere di mostrarsi, nell’idea che a volte un cambio nel corpo collima con un cambiamento di vita. Più semplicemente, tutte queste motivazioni talvolta si raggruppano sotto il nome di “coronare un sogno”. Siamo lontani dal giudicare ma crediamo che la conoscenza sia la vera chiave della libertà che si accompagna al rispetto della propria vita in salute. Il tempo se ne va veloce, anche più veloce quando la vostra salute se ne è andata e ormai non avete più niente per cui vivere. Mike Matarazzo, deceduto il 17/08/2014

  • GRASSO CORPOREO

    Di Claudio Suardi e Chiara De Nigris Il grasso corporeo è presente in due forme: 1. IL GRASSO ESSENZIALE (o PRIMARIO) si trova nel midollo osseo, nel cuore, polmone, milza, reni, intestino, muscoli e alcune parti del sistema nervoso. È una quota di grasso che i tessuti usano per il proprio metabolismo, anche se ancora non è chiaro in che misura. 2. IL GRASSO DI DEPOSITO che ricopre i visceri, come i reni, e fa da ammortizzatore, proteggendoli. Il grasso di deposito è anche quello sottocutaneo, anch’esso con funzione protettiva e termoregolatrice, dato che ci protegge dagli urti così come dal freddo. La percentuale di grasso corporeo è sostanzialmente simile nei due sessi (sulla base dell’uomo e della donna di riferimento di Behnke): 12% nei maschi e 15% nelle femmine, mentre la percentuale di grasso primario (o essenziale) è quattro volte superiore nelle donne rispetto all’uomo. La donna è mediamente più “grassa” dell’uomo perché tutto è riconducibile al ciclo riproduttivo. Il grasso rappresenta una grande riserva di energia dato che, a parità di peso, fornisce più del doppio delle calorie degli zuccheri o delle proteine. In caso di carestia, la gravidanza avrebbe possibilità di compiersi solo se in presenza di riserve di combustibile altamente energetico, cioè il famigerato grasso. L’imperativo biologico di portare avanti una gravidanza con successo ha dotato la donna di un 12% in più di grasso dell’uomo. E’ un grasso distribuito nella regione gluteo-femorale, classificato come “essenziale” e dunque difficilmente attaccabile dagli enzimi e dagli ormoni lipolitici (cioè “bruciagrasso”), anzi, è sensibile agli ormoni liposintetici (gli estrogeni, molto attivi nel fare accumulare grasso tra cosce e glutei). Perché parliamo di carestia quando la nostra società garantisce abbondanza di cibo? Perché siamo figli di progenitori che si sono selezionati fronteggiando antichi cicli alimentari ad abbondanza intermittente: c’erano periodi di abbondanza, sì, ma seguivano anche lunghi periodi di carestia. E dunque risultava utile una programmazione biologica che permettesse, soprattutto alle donne in gravidanza, di sopravvivere in questi ecosistemi alimentari instabili. Il tessuto adiposo sottocutaneo accumulato nelle regioni inferiori è tendenzialmente maggiore nelle donne rispetto agli uomini con la stessa massa grassa, mentre non sono state osservate differenze nelle dimensioni degli adipociti nel grasso sottocutaneo addominale. I maggiori livelli di grasso sottocutaneo nelle donne rispetto agli uomini può essere attribuito agli ormoni sessuali femminili (come l’estradiolo) e ad un aumento del numero degli adipociti. Nonostante le limitate evidenze scientifiche, è stato notato che nelle donne il deposito degli acidi grassi alimentari derivanti dal pasto aumenta in proporzione alla massa del tessuto adiposo sottocutaneo nelle zone inferiori, mentre non è stata osservata alcuna associazione tra il relativo deposito lipidico nel tessuto adiposo sottocutaneo addominale e l’adiposità. Con l’incremento dell’adiposità, e mantenendo la capacità di depositare acidi grassi nel tessuto adiposo nella zona gluteo-femorale ma non nei depositi addominali, si promuove nelle donne lo sviluppo del fenotipo costituzionale ginoide, caratterizzato appunto dalla predisposizione all’accumulo nelle zone inferiori. Al contrario, gli uomini presentano tendenzialmente una maggiore capacità di assimilazione di acidi grassi da parte del tessuto sottocutaneo addominale rispetto alle zone gluteo-femorali. La lipoproteina lipasi (LPL) è l’enzima che, una volta attivato, è responsabile del deposito di trigliceridi nel tessuto adiposo. Le differenze specifiche dell’attività della LPL legate al sesso determinano la predisposizione all’accumulo lipidico in diverse zone degli uomini e delle donne. Nelle donne, l’attività della LPL del tessuto adiposo sottocutaneo nella zona gluteo-femorale e addominale e del tessuto adiposo viscerale, è stata positivamente correlata con le dimensioni delle cellule adipose in tali aree. In maniera simile negli uomini l’attività della LPL incrementa nel tessuto adiposo sottocutaneo dell’addome e nel grasso viscerale. In generale, è stata osservata nelle donne una maggiore attività della LPL nel tessuto adiposo sottocutaneo rispetto al viscerale che negli uomini. Quindi gli adipociti del grasso sottocutaneo sono di maggiori dimensioni rispetto al grasso viscerale delle donne. Mentre negli uomini, l’attività della LPL è risultata essere maggiore nel tessuto adiposo viscerale rispetto a quello sottocutaneo. In relazione all’attività della LPL e all’accumulo di trigliceridi, è stato suggerito che il flusso ematico del tessuto adiposo nel periodo post- prandiale sia un fattore determinante nelle differenze legate al sesso e ai depositi nell’accumulo adiposo. Nelle donne, a seguito del pasto l’aumento del flusso ematico viene osservato nel tessuto adiposo delle regioni inferiori, ma ciò non succede negli uomini. In linea con queste conclusioni, la sintesi dei trigliceridi dal glucosio nelle donne è minore nel grasso omentale (viscerale) rispetto al grasso sottocutaneo addominale, mentre negli uomini è simile in entrambi i comparti. Le donne caratterizzate da obesità periferica (da cui la forma “a pera” per le spalle spioventi e la svasatura in zona gluteo femorale) col grasso distribuito per via sottocutanea in aree gluteo-femorale e parte inferiore dell’addome sono a basso rischio di complicazioni metaboliche. Al contrario, gli uomini con obesità sterno-addominale (che conferisce la tipica forma “a mela”) accumulano grasso sottocutaneo addominale e viscerale e sono più inclini a problemi metabolici e cardiovascolari, in particolare quando i depositi di grasso viscerale sono abbondanti (102 cm di circonferenza addominale, ma già a 94 cm entriamo “di diritto” in zona rischio). Se dal punto di vista salutistico il destino del grasso viscerale è fatale per l’uomo, quanto al dimagrimento la situazione si ribalta: il grasso gluteo-femorale femminile è molto resistente agli ormoni “brucia grasso” (adrenalina, noradrenalina…) e ben difeso da ormoni ed enzimi accumula-grasso (estrogeni, LPL). Gli adipociti di questa zona sono piccoli, ma stabili. Al contrario gli adipociti viscerali sono più grandi, ma più facili da “consumare” (sensibili alla lipolisi, diremmo tecnicamente) perché più esposti all’azione degli ormoni “brucia grassi” come l’adrenalina e la noradrenalina. Se durante l’infanzia non assistiamo a particolari differenze tra maschi e femmine nella distribuzione del grasso, minima a livello viscerale e maggiore a livello sottocutaneo, con la pubertà si cominciano a marcare le differenze che resteranno stabili nell’età adulta. Maggiore grasso viscerale nel maschio e maggiore grasso sottocutaneo nella femmina. Tuttavia, la donna, verso i 30 anni, comincia una lenta inversione di tendenza per cui si riduce il grasso sottocutaneo a favore di quello viscerale. Tra i 40 e i 60 anni le donne registrano uno spostamento più deciso del grasso verso la zona viscerale anche a causa del cambiamento del profilo ormonale legato alla menopausa. L’ingrassamento nella donna avviene già nel periodo perimenopausale, cioè nei 10 anni che precedono la menopausa vera e propria. In ogni caso, il trend del grasso, sia nell’uomo che nella donna, è rivolto all’aumento di volume, anche se a ritmo variabile rispetto all’età e con un netto sbilanciamento a favore del grasso viscerale. Il grasso viscerale è correlato ad una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari (diabete, infarto, ictus, sindrome metabolica) in entrambi i sessi, tuttavia nella donna con grasso viscerale tale rischio risulta più pronunciato che in un uomo con lo stesso problema. Ricordiamo che “le malattie cardiovascolari (principalmente malattia coronarica e ictus) sono responsabili del 54% di tutti i decessi delle donne in Europa (e del 43% di tutti i decessi degli uomini), e uccidono più di tutti i tumori insieme” (www.cardiometabolica.org). E’ assodato che il grasso viscerale (VAT= Visceral Adipose Tissue), tipicamente maschile corrisponde a:  Trigliceridi alti.  Colesterolo cattivo (LDL) alto.  Pressione alta.  Glicemia alta a digiuno.  Resistenza insulinica.  Produzione di molecole infiammatorie (soprattutto IL-6, TNFalfa). A differenza del grasso sottocutaneo, il grasso viscerale si comporta come un vivace organo endocrino che rilascia ormoni e sostanze a carattere infiammatorio che conducono allo sviluppo di diabete, ipertensione e insulino-resistenza. Tradotto: il grasso viscerale non è un buon viatico per la salute del cuore perché promuove l’infiammazione cronica, anticamera dell’insulino-resistenza. (J Am Soc Nephrol., 2004). Il grasso totale, invece, abbiamo visto che è sempre maggiore nelle femmine. Il tessuto adiposo viscerale detto anche grasso viscerale o Grasso intra-addominale, all’inglese Visceral adipose tissue (VAT) o Visceral fat, rappresenta quella parte del tessuto adiposo bianco (WAT) situata tra gli organi interni. Il tessuto adiposo viscerale (VAT) è quella parte del tessuto adiposo localizzata nello spazio tra gli organi interni come fegato, intestino e reni. Esso può essere suddiviso in ulteriori componenti:  il grasso omentale e mesenterico forma il grasso intraperitoneale o portale  il grasso extraperitoneale  il grasso sottocutaneo addominale (in realtà è dissociato dal grasso viscerale) Abbiamo compreso che è il grasso viscerale, tipicamente maschile, e non quello sottocutaneo a creare possibili problemi di salute riducendo statisticamente l’aspettativa di vita. A parità di grasso, averlo tutto sulla pancia (anzi, dentro la pancia) anziché essere distribuito in modo omogeneo si traduce in un aumento dei rischi per la salute. Il grasso addominale è predittivo di possibili problemi cardiovascolari, anche se c’è da aggiungere che è un grasso più facilmente attaccabile dall’allenamento e dall’alimentazione. Nei giovani adulti circa la metà del grasso corporeo è sottocutaneo, il resto è grasso profondo o viscerale e con l’invecchiamento aumenta fisiologicamente rispetto a quello sottocutaneo. Il grasso viscerale è strettamente correlato all’aumento di produzione di interleuchina 6 (IL6), molecola infiammatoria a sua volta legata a problemi come diabete e infarto (Istituto Superiore di Sanità Italiana e Americana; “Diabets”). Il 40% delle persone in apparenza magre presentano un accumulo di grasso viscerale. Secondo uno studio pubblicato su “Lancet”, condotto su 168.159 pazienti, un’elevata obesità addominale al momento dell’infarto è presente nel 46,5% degli uomini e nel 45,6% delle donne. La semplice presenza di obesità addominale aumenta di oltre il doppio il rischio di infarto nella popolazione in esame rispetto a quella di controllo. L’obesità addominale da sola appare responsabile di quasi un infarto su cinque in entrambi i sessi. Dall’altra parte il grasso gluteo-femorale, quello tipicamente femminile, espone meno a possibili problemi cardiovascolari, anche se è un grasso scarsamente attaccabile e ben difeso dalla barriera enzimatica e ormonale. Ad esempio, l’enzima deputato ad accumulare grassi, l’AT-LPL o lipasi-lipoproteica ha un’attività sviluppata soprattutto nella zona gluteo-femorale, ed è regolata da estrogeni e progesterone, ormoni tipicamente femminili (Ltchell & Boberg, 1978). Il post-menopausa rappresenta il periodo di maggior predisposizione per l’aumento del grasso viscerale. In tal caso il rischio diventa simile o uguale a quello del maschio. Il tessuto adiposo viscerale sembra essere il tipo di grasso più pericoloso per la salute perché più connesso con il rischio cardiovascolare, l’insulinoresistenza, il diabete di tipo 2, varie complicanze metaboliche e l’arteriosclerosi. Sebbene dissociato dal grasso viscerale, anche il grasso sottocutaneo addominale è connesso con il grasso viscerale tramite l’esposizione a patologie come l’insulinoresistenza. Sebbene il grasso viscerale sia il sito di accumulo lipidico maggiormente associato alle malattie metaboliche, di recente sono state segnalate anche delle correlazioni tra il grasso viscerale e il grasso epatico, ed è stato osservato che un aumento del grasso epatico sia associato alle stesse anomalie metaboliche legate ad un aumento del grasso viscerale. Di conseguenza, il grasso sottocutaneo addominale e il grasso intraepatico sono connessi entrambi con le stesse problematiche legate al grasso viscerale. QUALE GRASSO SI PERDE PIÙ FACILMENTE? Le catecolamine sono prodotte in particolari condizioni come l’attività fisica, l’ipoglicemia, o l’esposizione al freddo. Non a caso la perdita di grasso indotta dall’esercizio fisico è maggiore nel tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo a livello addominale (SCAT), rispetto ad altre aree come quella femorale. Per la precisione è stato riscontrato che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover, i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento. Infatti anche le cellule adipose sottocutanee a livello addominale sono più sensibili all’effetto lipolitico delle catecolammine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nella regione della coscia. Quindi la lipolisi degli adipociti a livello omentale (a livello profondo) è più sensibile alla stimolazione β- adrenergica se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, mentre sono meno sensibili alla soppressione della lipolisi da parte dell’insulina in entrambi i sessi. Elevati livelli di insulina sopprimono la lipolisi per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto alle regioni corporee inferiori. Differenze regionali sono state ritrovate anche nella captazione di glucosio basale o indotta dall’insulina. La captazione di glucosio è maggiore nel grasso omentale rispetto a quello sottocutaneo per via di una maggiore distribuzione dei trasportatori di glucosio GLUT-4. Tuttavia, mentre gli adipociti viscerali sono resistenti all’effetto anti-lipolitico dell’insulina se comparati agli adipociti addominali sottocutanei, non sono state osservate differenze nella captazione di glucosio legate alla sensibilità insulinica. I risultati suggeriscono che l’azione dell’insulina può essere diversamente alterata a seconda delle zone di accumulo adiposo negli individui con obesità viscerale, e sarebbero poco legati alle differenze regionali nelle dimensioni degli adipociti. Negli uomini e donne sani, circa il 5-10% degli acidi grassi liberi (FFA) immessi nella vena porta originano dalla lipolisi del grasso viscerale. Esperimenti in vivo dimostrano che anche se la lipolisi del tessuto adiposo viscerale contribuisce di norma a rilasciare una ridotta proporzione degli FFA totali in circolo, il contributo dei depositi viscerali aumenta fino al 50% nel rilascio di FFA in caso di accumulo di grasso viscerale. Se è presente un eccesso di grasso viscerale e si tende a rilasciare grasso nel sangue costantemente, il metabolismo si orienterà più su di essi. Lasciando da parte gli zuccheri. Si verranno inevitabilmente a creare dei picchi di glicemia cronica con un più probabile insorgere o peggiorare dell’insulinoresistenza. Il rilascio di acidi grassi durante la lipolisi sarebbe positivo se questi venissero utilizzati per il dispendio energetico. In caso contrario diventa un problema e l’insulinoresistenza ringrazia. Dal momento che l’eccesso di grasso viscerale è positivamente correlato con un aumento della lipolisi e dell’insulinoresistenza, il rilascio di FFA da questo tessuto altamente sensibile viene incrementato in particolari condizioni. La lipolisi aumenta in proporzione all’accumulo di grasso viscerale, quindi per gli uomini e le donne con una predisposizione all’accumulo in questa area, tale tessuto contribuisce al rilascio di circa il 50% degli FFA nella vena porta. In base a queste conclusioni, il grasso viscerale è connesso con alti livelli di VLDL nel periodo post-prandiale nei soggetti insulinoresistenti. Di conseguenza l’aumento del flusso di FFA nella vena porta può contribuire ad alterare la funzione epatica (le VLDL sono prodotte dal fegato). I trigliceridi intramuscolari, o intramiocellulari, o grasso intramuscolare, talvolta denominati con l’acronimo IMTG, dall’inglese Intra Muscular Tri-Glycerides, rappresentano i depositi di lipidi (trigliceridi) situati all’interno del muscolo scheletrico. Questa componente costituisce approssimativamente circa il 10-15% del volume della cellula, ed è maggiormente presente nelle fibre rosse (o di tipo 1), naturalmente provviste di maggiori depositi per il loro metabolismo in prevalenza aerobico. Gli IMTG non sono da confondere con i trigliceridi extramuscolari, extracellulari, o intermuscolari, cioè i depositi posti tra le fibre muscolari, e non all’interno dei miociti. La mobilitazione e/o ossidazione degli IMTG durante l’esercizio fisico sembrano essere in gran parte determinate dal tipo, dall’intensità, e dalla durata dell’esercizio, dalla composizione di macronutrienti nella dieta, dallo stato di allenamento, dal sesso, e dall’età. Inoltre, evidenze indirette suggeriscono che la capacità di mobilitare e/o ossidare IMTG è sostanzialmente compromessa nell’obesità e/o nello stato di diabete mellito di tipo 2. Il grasso corporeo essenziale o primario rappresenta nell’uomo quella parte del gasso corporeo necessario per le normali funzioni fisiologiche del corpo. Queste riserve sono le componenti minori della totale massa grassa (Fat mass, FM), assieme alle riserve lipidiche. Contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, il grasso primario viene incluso anche all’interno della massa magra (Lean Body Mass, LBM) per la sua essenziale funzione fisiologica e per il fatto di non essere intaccato, in condizioni normali, dai processi di dimagrimento. Mentre questo viene escluso nel determinare la massa magra alipidica (Fat Free Mass, FFM), che rappresenta ciò che resta dell’organismo dalla completa privazione di tutta la componente lipidica. Saperne di più aiuta a differenziare il nostro intervento come Personal Trainer e indirizzare allenamento e alimentazione verso il risultato. #corporeo #grasso

  • Dimagrimento localizzato?

    Troppe volte ho sentito colleghi mettere il proprio sistema “esclusivo” e “infallibile” davanti a tutto, la propria alimentazione preferita, l’allenamento sul quale hanno costruito il proprio fisico e spesso anche il prima e dopo dei casi di successo nascondendo sicuramente il dopo di molti fallimenti. Altri colleghi parlano di esperienza, anche nel campo della fantascienza. “Esperienza” deriva da experientia, di experiri ‘sperimentare’. Esperienza e/o esperimenti? Positivi o negativi? Dimagrimento localizzato. Dal dizionario: “diminuzione di peso di un organismo dovuta alla perdita dei grassi di deposito”. Localizzato: “Determinato nella sua esatta posizione o origine”. Traduzione: perdere grasso nel sito di preferenza. Possibile? La massa grassa è composta essenzialmente da due tipi di grasso: essenziale e non essenziale. La prima può essere compresa sia nella massa grassa sia in quella magra (ossa, tessuti, organi e muscoli). Senza la presenza del grasso essenziale la salute dell’uomo e la prestanza fisica subirebbero un deterioramento. Questo tipo di grasso è situato all’interno di vari tessuti, tra cui il sistema nervoso centrale (SNC) e le cellule nervose, nel midollo osseo, intestini, reni, cuore, fegato, milza, polmoni,  ghiandole mammarie nella donna ed è rappresentato da fosfolipidipresenti nella struttura delle membrane cellulari. Questo apparato non può essere intaccato dai processi di dimagrimento, se non in maniera impercettibile. Il tessuto adiposo sottocutaneo accumulato nelle regioni inferiori è tendenzialmente maggiore nelle donne rispetto agli uomini con la stessa massa grassa, mentre non sono state osservate differenze nelle dimensioni degli adipociti nel grasso sottocutaneo addominale. I maggiori livelli di grasso sottocutaneo nelle donne rispetto agli uomini può essere attribuito agli ormoni sessuali femminili come l’estradiolo e a un aumento del numero degli adipociti. Nonostante le limitate evidenze scientifiche, è stato notato che nelle donne il deposito degli acidi grassi alimentari derivanti dal pasto aumenta in proporzione alla massa del tessuto adiposo sottocutaneo nelle zone inferiori, mentre non è stata osservata alcuna associazione tra il relativo deposito lipidico nel tessuto adiposo sottocutaneo addominale e l’adiposità. Con l’incremento dell’adiposità e mantenendo la capacità di depositare acidi grassi nel tessuto adiposo nella zona gluteo-femorale ma non nei depositi addominali, si promuove nelle donne lo sviluppo del fenotipo costituzionale ginoide, caratterizzato appunto dalla predisposizione all’accumulo nelle zone inferiori. Al contrario, gli uomini presentano tendenzialmente una maggiore capacità di assimilazione di acidi grassi da parte del tessuto sottocutaneo addominale rispetto alle zone gluteo-femorali. La lipoproteina lipasi (LPL) è l’enzima che, una volta attivato, è responsabile del deposito di trigliceridi nel tessuto adiposo. Le differenze specifiche dell’attività della LPL legate al sesso determinano la predisposizione all’accumulo lipidico in diverse zone degli uomini e delle donne. Nelle donne, l’attività della LPL del tessuto adiposo sottocutaneo nella zona gluteo-femorale e addominale, e del tessuto adiposo viscerale, è stata positivamente correlata con le dimensioni delle cellule adipose in tali aree. In maniera simile negli uomini l’attività della LPL incrementa nel tessuto adiposo sottocutaneo delle cosce e dell’addome, e nel grasso viscerale. In generale, è stata osservata nelle donne una maggiore attività della LPL nel tessuto adiposo sottocutaneo rispetto al viscerale che negli uomini. Quindi gli adipociti del grasso sottocutaneo sono di maggiori dimensioni rispetto al grasso viscerale delle donne. Mentre negli uomini, l’attività della LPL è risultata essere maggiore nel tessuto adiposo viscerale rispetto a quello sottocutaneo. In relazione all’attività della LPL e all’accumulo di trigliceridi, è stato suggerito che il flusso ematico del tessuto adiposo nel periodo post-prandiale sia un fattore determinante nelle differenze legate al sesso e ai depositi nell’accumulo adiposo. Nelle donne, a seguito del pasto l’aumento del flusso ematico viene osservato nel tessuto adiposo delle regioni inferiori, ma ciò non succede negli uomini. In linea con queste conclusioni, la sintesi dei trigliceridi dal glucosio nelle donne è minore nel grasso viscerale rispetto al grasso sottocutaneo addominale, mentre negli uomini è simile in entrambi i comparti. Le donne caratterizzate da obesità periferica (da cui la forma “a pera” per le spalle spioventi e la svasatura in zona gluteo femorale) col grasso distribuito per via sottocutanea in aree gluteo-femorale e parte inferiore dell’addome sono a basso rischio di complicazioni metaboliche. Al contrario, gli uomini con obesità sterno-addominale (che conferisce la tipica forma “a mela”) accumulano grasso sottocutaneo addominale e  viscerale e sono più inclini a problemi metabolici e cardiovascolari, in particolare quando i depositi di grasso viscerale sono abbondanti (102 cm di circonferenza addominale, ma già a 94 cm entriamo in zona rischio). Se dal punto di vista salutistico il destino del grasso viscerale è fatale per l’uomo, quanto al dimagrimento la situazione si ribalta: il grasso gluteo-femorale femminile è molto resistente agli ormoni “brucia grasso” (adrenalina, noradrenalina…) e ben difeso da ormoni ed enzimi accumula-grasso (estrogeni, LPL). Gli adipociti di questa zona sono piccoli, ma stabili. Al contrario gli adipociti viscerali sono più grandi, ma più facili da “consumare” perché sensibili alla lipolisi perché più esposti all’azione degli ormoni “brucia grassi” come l’adrenalina e la noradrenalina. IL GRASSO NELLE DONNE: SINTESI Gli adipociti (cellule di grasso) femminili  nella parte superiore del corpo (spalle, seno) hanno più recettori β che rilasciano il grasso. Gli adipociti femminili nella zona gluteo-femorale hanno più recettori α che trattengono grasso. Gli adipociti femminili hanno più enzima LPL nella zona dei fianchi e delle cosce e facilita il deposito di trigliceridi negli adipociti stessi. Gli adipociti femminili di cosce e glutei hanno meno enzima HPL che mobilita i grassi in uscita. L’enzima LPL aumenta in gravidanza (maggior deposito di grasso). L’enzima LPL è incrementato da estrogeni femminili / pillola. Le donne hanno meno sensibilità all’adrenalina (ormone brucia grasso) in zona gluteo-femorale. RISULTATO: il grasso tipicamente femminile, quello gluteo-femorale, è meno sensibile all’azione di allenamento e alimentazione. E’ il grasso viscerale, tipicamente maschile, e non quello sottocutaneo a creare possibili problemi di salute riducendo statisticamente l’aspettativa di vita. A parità di grasso, averlo tutto dentro la pancia anziché essere distribuito in modo omogeneo si traduce in un aumento dei rischi per la salute. Il grasso addominale è predittivo di possibili problemi cardiovascolari, anche se c’è da aggiungere che è un grasso più facilmente attaccabile dall’allenamento e dall’alimentazione. Nei giovani adulti circa la metà del grasso corporeo è sottocutaneo, il resto è grasso profondo o viscerale e con l’invecchiamento aumenta fisiologicamente rispetto a quello sottocutaneo. Il grasso viscerale è strettamente correlato all’aumento di produzione di interleuchina 6 (IL6), molecola infiammatoria a sua volta legata a problemi come diabete e infarto (Istituto Superiore di Sanità Italiana e Americana; “Diabets”). Dall’altra parte il grasso gluteo-femorale, quello tipicamente femminile, espone meno a possibili problemi cardiovascolari, anche se è un grasso scarsamente attaccabile e ben difeso dalla barriera enzimatica e ormonale. Ad esempio, l’enzima deputato ad accumulare grassi, l’AT-LPL o lipasi-lipoproteica ha un’attività sviluppata soprattutto nella zona gluteo-femorale, ed è regolata da estrogeni e progesterone, ormoni tipicamente femminili (Ltchell & Boberg, 1978). Il VAT è più soggetto alla lipolisi, cioè al processo metabolico che prevede il catabolismo o la mobilizzazione dei grassi depositati, i trigliceridi, che vengono scissi a tre molecole di acidi grassi e una di glicerolo e immessi nel torrente sanguigno tramite la vena porta. E’ sensibile all’azione delle catecolammine (adrenalina, noradrenalina), molecole associate al processo della lipolisi. La noradrenalina sembra inoltre avere un effetto maggiormente lipolitico rispetto all’adrenalina. E’ anche meno sensibile all’insulina, ormone che provoca il processo inverso, la lipogenesi, cioè il deposito o l’accumulo di grassi (ingrassamento). QUALE GRASSO SI PERDE PIÙ FACILMENTE? Le catecolamine sono prodotte in particolari condizioni come l’attività fisica, l’ipoglicemia, o l’esposizione al freddo. Non a caso la perdita di grasso indotta dall’esercizio fisico è maggiore nel tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo a livello addominale (SCAT), rispetto ad altre aree come quella femorale. Per la precisione è stato riscontrato che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover, i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento. Infatti, anche le cellule adipose sottocutanee a livello addominale sono più sensibili all’effetto lipolitico delle catecolammine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nella regione della coscia. Quindi la lipolisi degli adipociti a livello omentale (a livello profondo) sono più sensibili alla stimolazione β-adrenergica se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, mentre sono meno sensibili alla soppressione della lipolisi da parte dell’insulina in entrambi i sessi. Elevati livelli di insulina sopprimono la lipolisi per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto alle regioni corporee inferiori. È stato dimostrato che il tessuto adiposo sottocutaneo è la maggiore fonte di acidi grassi liberi (FFA) circolanti, e contribuisce al rilascio nel sangue di più dell’85% degli FFA, al contrario del grasso viscerale, che in condizioni normali contribuisce al rilascio di solo il 5-10% degli FFA. Rispetto al grasso viscerale, il grasso sottocutaneo è più sensibile all’azione lipogenetica (accumulo di grasso) dell’insulina, l’ormone responsabile dell’accumulo di grassi nel tessuto adiposo. Questo significa che l’attività dell’insulina (prevalentemente in risposta all’ingestione di carboidrati) sopprime maggiormente il rilascio di grassi (lipolisi) nel tessuto adiposo sottocutaneo. La lipolisi è il processo metabolico che prevede il catabolismo o la mobilizzazione dei grassi depositati, i trigliceridi, che vengono scissi a tre molecole di acidi grassi e una di gliceroloe immessi nel torrente sanguigno. È stato osservato che l’insulina sopprime la lipolisi, per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto ai depositi sottocutanei delle regioni inferiori. In altri termini il grasso viscerale è più facilmente soggetto al rilascio di acidi grassi nel sangue rispetto a quello sottocutaneo perché meno sensibile all’attività insulinica. Tale osservazione coincide col fatto che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover, i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento. Un altro motivo per cui il grasso sottocutaneo è meno soggetto al ricambio e al rilascio o mobilizzazione di acidi grassi, è la minore sensibilità alle catecolamine se comparato al grasso viscerale. La catecolamine, essenzialmente rappresentate da adrenalina e noradrenalina, sono associate al processo della lipolisi. Per la precisione, in linea con i punti precedenti, gli adipociti a livello viscerale sono più sensibili alla lipolisi e dunque alla stimolazione β-adrenergica delle catecolamine se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, che a loro volta sono più sensibili all’effetto lipolitico delle catecolamine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nelle regioni inferiori. GRASSO INTRAMUSCOLARE I trigliceridi intramuscolari, o intramiocellulari, o grasso intramuscolare, talvolta denominati con l’acronimo IMTG, dall’inglese Intra Muscular Tri-Glycerides, o IMAT (Intra-Muscolar Adipose Tissue) rappresentano i depositi di lipidi (trigliceridi) situati all’interno del muscolo scheletrico. Questa componente costituisce approssimativamente circa il 10-15% del volume della cellula, ed è maggiormente presente nelle fibre rosse (o di tipo 1), naturalmente provviste di maggiori depositi per il loro metabolismo in prevalenza aerobico. Gli IMTG non sono da confondere con i trigliceridi extramuscolari, extracellulari, o intermuscolari, cioè i depositi posti tra le fibre muscolari, e non all’interno dei miociti. La mobilitazione e/o ossidazione degli IMTG durante l’esercizio fisico sembrano essere in gran parte determinate dal tipo, dall’intensità, e dalla durata dell’esercizio, dalla composizione di macronutrienti nella dieta, dallo stato di allenamento, dal sesso, e dall’età. Inoltre, evidenze indirette suggeriscono che la capacità di mobilitare e/o ossidare IMTG è sostanzialmente compromessa nell’obesità e/o nello stato di diabete mellito di tipo 2. TIPOLOGIE E PERCENTUALI DI GRASSO PER MASCHI E FEMMINE: UOMO (70 KG) TIPOLOGIA GRASSOKG%GRASSO TOTALE10.515GRASSO ESSENZIALE 2.13GRASSO DI DEPOSITO8.312GRASSO SOTTOCUTANEO3.14GRASSO INTERMUSCOLARE3.35GRASSO INTRAMUSCOLARE0.81GRASSO VISCERALE11 TIPOLOGIE E PERCENTUALI DI GRASSO PER MASCHI E FEMMINE: DONNA (56.8 KG) TIPOLOGIA GRASSOKG%GRASSO TOTALE15.327GRASSO ESSENZIALE 4.9-6.89-12GRASSO DI DEPOSITO8.5-10.415-18GRASSO SOTTOCUTANEO5.19GRASSO INTERMUSCOLARE3.56GRASSO INTRAMUSCOLARE0.61GRASSO VISCERALE1.22 Il Dimagrimento localizzato, è una teoria non confermata in ambito scientifico, che identifica la possibilità di accentuare la riduzione del grasso corporeo in zone specifiche del corpo tramite allenamenti fisici specifici. Scienza e fantasia applicata alla scienza (fantascienza) Una delle più note ricerche sulla questione del dimagrimento localizzato risale al 1984 da parte di Katch et al. In questo studio vennero valutati gli effetti di un programma di allenamento della durata di 27 giorni che prevedeva l’esecuzione di sit up sulle dimensioni delle cellule adipose e sull’adiposità nella zona addominale. Vennero effettuate delle biopsie del tessuto adiposo dall’addome, della zona sottoscapolare, e della zona glutea su 13 soggetti, nei periodi prima e dopo un programma di allenamento. In questo programma, 13 soggetti maschi effettuarono un allenamento ad intervalli da 10 serie di sit up per 27 giorni; il numero totale di ripetizioni di sit up eseguiti in questo programma ammontavano a 5004. Il tempo cumulativo speso per portare a termine queste 5004 ripetizioni era di 2 ore e 3 minuti, o mediamente, attorno ai 4 minuti e 33 secondi per giornata. Mentre le dimensioni delle cellule adipose vennero significativamente ridotte, non risultò alcuna differenza tra le varie zone corporee, indicando che non si era verificato alcun effetto sul dimagrimento localizzato. Il risultato della ricerca dimostrò che il sit up non riduceva in maniera maggiore e preferenziale le dimensioni delle cellule adipose e il grasso sottocutaneo nella regione addominale se comparato ad altre regioni corporee. Questo esito inizialmente servì a sfatare il mito del dimagrimento localizzato indirizzato alla parete addominale, almeno in relazione all’allenamento tradizionale. Un ricerca più recente (Vispute et al. 2011) riprese ad indagare sugli effetti degli esercizi per gli addominali sul grasso addominale. 24 soggetti sani e sedentari, di cui 14 uomini e 10 donne, tra i 18 e i 40 anni, vennero distribuiti in maniera casuale all’interno di 2 gruppi: il primo rappresentava il gruppo di controllo che non è stato sottoposto all’allenamento, mentre il secondo ha rappresentato i soggetti protagonisti del programma di allenamento. Sono state testate antropometria, composizione corporea, e resistenza muscolare addominale prima e dopo il programma. Al gruppo sottoposto all’allenamento è stato indicato di eseguire 7 esercizi per gli addominali, ognuno dei quali con 2 serie da 10 ripetizioni per 5 giorni a settimana per un periodo di 6 settimane. Il gruppo di controllo si è limitato solamente a seguire un dieta isocalorica (dello stesso apporto calorico sul fabbisogno individuale) durante il periodo dello studio. Gli esercizi per gli addominali non hanno portato ad alterazioni significative del peso corporeo, della percentuale di grasso corporeo, della percentuale di grasso addominale, della circonferenza addominale, della plica addominale e sovrailiaca. Il gruppo allenato ha solo guadagnato una maggiore resistenza alla fatica e la capacità di eseguire più ripetizioni se comparato al gruppo di controllo. In linea con i risultati di Katch di 27 anni prima, si è concluso che un programma di allenamento per gli addominali non è sufficiente a ridurre il grasso sottocutaneo localizzato. A conferma dei risultati di Roby, Gwinup et al. (1971) misurarono lo spessore delle pliche cutanee di entrambe le braccia di alcuni giocatori di tennis professionisti e di alcuni soggetti di controllo. I ricercatori avanzarono l’ipotesi che se il dimagrimento localizzato esiste, il braccio allenato di un giocatore di tennis dovrebbe presentare molto meno grasso rispetto al braccio inattivo. Anche se i giocatori di tennis tendono a sviluppare i muscoli del loro braccio e spalla dominanti, non vi era alcuna differenza di spessore della plica cutanea tra il braccio dominante e il non dominante. Lo spessore della plica cutanea non differiva neanche tra le 2 braccia dei soggetti di controllo, ma lo spessore delle pliche cutanee di entrambe le braccia è stata inferiore nei giocatori di tennis rispetto al gruppo di controllo. Krotkiewski et al. (1979) testarono un programma di allenamento per una sola gamba della durata di 5 settimane su 10 donne sane di mezza età. Le misurazioni mediante ultrasuoni e plica rivelarono che lo spessore del tessuto adiposo sottocutaneo femorale della gamba allenata era significativamente diminuito, mentre lo spessore del tessuto della gamba non allenata è rimasto invariato. La gamba allenata guadagnò più forza e spessore muscolare (ipertrofia) al contrario di quella non allenata. Anche se la gamba allenata ha dimostrato una leggera diminuzione dello spessore del grasso sottocutaneo, e la gamba non allenata ha mostrato un lieve aumento del grasso sottocutaneo, le differenze non sono state significative, probabilmente a causa del ridotto numero di persone oggetto dello studio. I ricercatori conclusero che la diminuzione dello spessore del tessuto adiposo sottocutaneo non era associato ad una riduzione significativa della dimensione delle cellule adipose, ma era probabilmente più legato a fattori geometrici secondari dati dall’ipertrofia del muscolo sottostante. Si concluse che la relazione tra la componente magra e grassa della coscia umana è significativamente influenzata dalle variazioni l’attività dei muscoli scheletrici della coscia, ma un programma di allenamento di resistenza localizzato difficilmente può essere utilizzato per ridurre localmente i depositi di grasso posti in prossimità dei muscoli allenati. Treuth et al., mediante 2 studi (1994, 1995) esaminarono gli effetti di un programma di allenamento di resistenza sui cambiamenti della composizione corporea, in particolare sul tessuto adiposo intra-addominale, in uomini e donne anziani sani. Essi riscontrarono una maggiorazione della massa muscolare, e una riduzione significativa del grasso intra-addominale. Treuth e colleghi in realtà non stavano esaminando la Spot reduction, ma i loro risultati hanno sollevato la possibilità che la plica non sia una tecnica valida per misurare i cambiamenti di grasso sottocutaneo locale provocato dall’esercizio fisico. In questo contesto, la constatazione poteva avere un certo peso anche sulla ricerca inerente al dimagrimento localizzato. Ciò che notarono fu che secondo le stime del plicometro, il grasso cutaneo non era cambiato tra la fase precedente e successiva al programma di allenamento di resistenza, mentre ne veniva rilevato un decremento con l’imaging a risonanza magnetica (MRI), la tomografia computerizzata (CT), o la Assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA). I ricercatori conclusero che il decremento del grasso sottocutaneo come risultato dell’allenamento di resistenza può essere stabilito solo usando criteri di misurazione più precisi come MRI, CT, o DEXA e non con i metodi antropometrici come la plicometria. Un ulteriore studio (Kostek et al., 2007) volle esaminare la questione del dimagrimento localizzato ottenuto con l’allenamento anaerobico di resistenza. 104 soggetti, di cui 45 uomini e 59 donne hanno partecipato ad un programma di allenamento di resistenza mirato allo stimolo del solo braccio non dominante, tralasciando l’allenamento per quello dominante. Il grasso sottocutaneo è stato misurato mediante risonanza magnetica e plicometro. Da questi risultati è emerso che il grasso sottocutaneo, misurato con la plica cutanea, ha subito una diminuzione nel braccio allenato ma non nel braccio non allenato negli uomini, ma era simile nel campione totale e nelle donne. I risultati della risonanza magnetica relativi ai cambiamenti del grasso sottocutaneo però non sono risultati differenti tra le braccia del campione totale di soggetti e per il sesso, portando a concludere che, basando i propri dati sugli esiti della risonanza magnetica, il dimagrimento localizzato non avviene. Prendendo come riferimento le constatazioni di Treuth et al. (1994, 1995), i ricercatori hanno respinto i dati della plica a causa delle limitazioni inerenti alle sottili variazioni volumetriche che possono essere osservate con l’uso della risonanza magnetica ma non con la prima. I metodi di misurazione possono dare dei risultati differenti a livello di interpretazione. Quando il muscolo scheletrico è sottoposto ad un processo di ipertrofia occupa un maggiore spazio, comprime lo spazio extracellulare tra le cellule adipose contro la pelle fino a che questa si adatta, e il muscolo più voluminoso è più facilmente visibile attraverso lo strato di grasso. Ciò può dare l’illusione che il grasso venga ridotto quando non lo è. Se la quantità totale di grasso sottocutaneo nell’arto allenato (gamba o braccio) rimane inalterato dopo il programma di allenamento (il diametro degli adipociti non cambia), ma di fatto occupa meno spazio a causa dell’ipertrofia muscolare, questo risulterebbe in un decremento del grasso sottocutaneo tramite una valutazione plicometrica, ma non con altri metodi più precisi come la risonanza magnetica. #Dimagrimento #Fitness

  • Allenamento per ipertrofia

    Di Claudio Suardi & Chiara De Nigris L’obiettivo dell’allenamento per l’ipertrofia è di aumentare la massa muscolare e/o di lavorare sui punti carenti per creare giuste proporzioni tra i vari gruppi muscolari. La durata di questa fase può essere variata secondo gli obiettivi, l’anzianità d’allenamento, il livello soggettivo, ma soprattutto il risultato ottenuto. Per massimizzare l’allenamento è possibile eseguire due o più cicli concernenti l’aumento massa, sempre però variando l’intensità utilizzando fasi leggere, medie o pesanti. Se l’allenamento pesante è mantenuto per molto tempo, vi potrebbe essere diminuzione delle performance dovuto a superallenamento o aumentato rischio articolare. Dire qual è il sistema migliore è in sostanza impossibile vista la soggettività. Non si tratta di scegliere l’allenamento in base al nome ma capire se le scienze esatte e il nostro cliente sono compatibili con quel metodo e non viceversa. Importante è la periodizzazione dell’allenamento e il controllo dello stesso attraverso test specifici. I criteri di scelta vanno ricercati nel principio delle differenze individuali, in altre parole dal fatto che, essendo tutti geneticamente diversi, non rispondiamo allo stesso modo allo stimolo dato dall’allenamento. Solo il contatto continuo con il cliente (ascoltando e capendo le sue sensazioni, le capacità di recupero, le risposte) e un feedback efficace ci potrà fare scegliere un metodo piuttosto che un altro. Valgono perciò i principi generali sulla programmazione adattandoli soggettivamente. Vi sono poi molti pareri personali più che “metodi” riconosciuti. I pareri sono frutto del “secondo me”, i metodi applicazioni standardizzate. I “padroni del metodo” sono limitati e dotati di scarse capacità. Un buon PT conosce le scienze esatte e le applica. Qual è il miglior metodo? Quello che funziona e che si sposa al cliente! Solo testando saremo in grado di capire se l’allenamento e l’alimentazione funzionano oppure no. L’allenamento per l’ipertrofia ha lo scopo di provocare cambi biochimici all’interno del muscolo necessari per lo sviluppo della massa muscolare. Sfortunatamente per molta gente l’aumento del volume muscolare è limitato alla durata dell’allenamento o poco più e spesso è dovuto a un ristagno di fluidi all’interno dei muscoli (ipertrofia sarcoplasmatica). In altre parole, “l’aumento muscolare” è dovuto a uno spostamento dei fluidi corporei all’interno delle cellule sotto sforzo invece che a un reale aumento del volume delle fibre. Occorre lavorare all’interno  del range stabilito, esempio 8/12, se maggiore peso troppo leggero, se inferiore peso eccessivo. Il carico iniziale dovrebbe rispettare la tabella dove, secondo che vi siano movimenti pluriarticolari piuttosto che monoarticolari, uomo o donna, peso corporeo, macchine o pesi liberi. DI SEGUITO UN ESEMPIO CHE RIGUARDA IL PESO DA USARE PER IL PRINCIPIANTE DIVISO PER SESSO, ESERCIZI MULTIARTICOLARI, MONARTICOLARI, MACCHINE E PESI LIBERI. PESO DA USARE IN PROPORZIONE AL PESO CORPOREO NELLA FASE INIZIALE MA = MONOARTICOLARE PA = PLURIARTICOLARE Il peso in percentuale riferito riguarda il totale utilizzato. Esempio: Uomo (70 Kg), Distensioni manubri pettorali (PA) 25-35% del Peso Corporeo = 8-12 Kg per braccio Chest press (PA); 30-50% del Peso (70Kg) = 21-35 Kg totali. Esempio: 55 Kg, Distensioni manubri pettorali (MA) 20-30% del Peso Corporeo = 5-8 Kg per braccio Chest press (PA) = 25-40% del Peso (70Kg) = 14-22 Kg totali. UOMOPARTE ALTAPARTE BASSA  Riscaldamento1° set Riscaldamento1° set Pesi liberi (MA)15-20%25-35%30-50%50-70%Pesi liberi (PA)10-20%30-40%50-70%100-120%Macchine (MA)15-20%25-30%20-30%30-60%Macchine (PA)20-25%30-50%50-60%100-150%DONNAPARTE ALTAPARTE BASSA  Riscaldamento1° set Riscaldamento1° set Pesi liberi (MA)5-10%10-12%20-30%40-50%Pesi liberi (PA)15-20%20-30%40-50%70-100%Macchine (MA)10-15%15-25%15-20%30-50%Macchine (PA)20-25%25-40%10-50%80-100% L’ipertrofia muscolare rappresenta l’incremento di volume delle fibre contrattili che porta all’aumento della massa muscolare che, grazie ai sovraccarichi, crea delle lesioni muscolari che, se genetica, recupero, ormoni e alimentazione sono stati combinati nel modo giusto, porteranno il muscolo a incrementare il suo diametro. L’ipertrofia muscolare coinvolge tutte le strutture subcellulari ma agisce in particolare sulle strutture contrattili. Il carico produce microlesioni nel tessuto e in particolare nella fase eccentrica del movimento. L’organismo “in fisiologia” risponde ricostruendo il tessuto danneggiato depositando maggiori quantità di materiale proteico attraverso la produzione di nuove miofibrille di diametro maggiore e la produzione di nuovi sarcomeri. Le cellule muscolari a questo punto incrementano i depositi di Creatinfosfato CP, Adenosintrifosfato ATP e Glicogeno attraverso modificazioni che portano notevoli vantaggi nell’esecuzione di sforzi brevi ma intensi, tipici dell’attività anaerobica. Un buon lavoro rivolto all’ipertrofia passa attraverso una tensione meccanica, data dal carico utilizzato e dal tempo di tensione utile a risposte cellulari e molecolari nelle miofibrille e nelle cellule satelliti. Il carico e il tempo di tensione devono essere adeguati. W. Kraemer ha definito questo metodo come “impegno ripetuto submassimale” utile alla degradazione delle proteine. Questo grazie a due fattori: stimolo meccanico e tempo di tensione (TT). Il tempo di tensione “ideale” (durata del SET) dovrebbe essere tra 30”-40” e 70”. Se il carico è troppo alto, il tempo di tensione (esecuzione di un set) sarà troppo breve (inferiore ai 30” di tensione continua). Se il carico è troppo basso, il tempo di tensione sarà troppo lungo (superiore ai 70” indicativi). Kraemer consiglia l’utilizzo di carichi compresi tra 6-8 e 10-12 con tempo d’esecuzione di ogni ripetizione tra 5” e 6” (metodo dell’impegno ripetuto submassimale) con recuperi incompleti ma che non limitino il set successivo. Il grado di tensione meccanica (quantità di carico) e del tempo di tensione TT (durata del carico applicato) creerà una corretta combinazione di queste variabili (carico e durata) che massimizzeranno il reclutamento delle unità motorie. A queste due variabili va aggiunto lo stress metabolico ottenuto attraverso la produzione di acido lattico. L’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare momentaneamente il pH al quale è associato un aumento del GH. L’adeguato ed elevato stimolo meccanico con stress in allungamento deve portare alla produzione di ”fattore di crescita miogeno” locale a livello dei muscoli sollecitati con riparazione dei microtraumi da parte delle cellule satelliti (ipertrofia). L’insorgenza del danno muscolare crea una reazione infiammatoria che porta alla produzione di miochine responsabili del rilascio di fattori di crescita che regolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule satelliti. Secondo diversi studiosi, l’aumento della sezione trasversa della fibra avviene dopo 10-14 settimane di allenamento continuo. L’allenamento iniziale porterà a un aumento di forza quasi esclusivamente per adattamento neurologico (Bosco, Kraemer e altri). L’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare il pH al quale è associato un aumento del GH.  Avvengono inoltre delle micro lesioni sulla membrana che stimolano dei processi ormonali tramite i quali occorre la sintesi proteica. Altro fattore importante è la deplezione di glicogeno che in fase di recupero è reintegrato con una supercompensazione a livello di ritenzione dello stesso. l processo che porta all’ipertrofia muscolare è multifattoriale. Si è visto, infatti che la deplezione dei fosfati favorisce la proliferazione di poliribosomi, sedi di sintesi proteica, che l’alta concentrazione di acido lattico produce delle microlesioni a livello della membrana cellulare che portano alla crescita attraverso ricostruzione e che i movimenti lenti, particolarmente nella fase eccentrica stimolino il rilascio di fattori di crescita insulino-simili IGF1 e IGF2 che sono i principali responsabili dello sviluppo di cellule embrionali da quelle satelliti. La sequenza; tensione / danno / stress / recupero / alimentazione, sono i fattori che condizionano lo sviluppo muscolare. La variazione del pH nel citoplasma e nell’ambiente extracellulare è associata a molte condizioni fisiologiche come, ad esempio, l’esercizio intenso. Questo cambiamento influisce sulla sintesi proteica, controllate anche dal mTORC1. Un’elevata attività mTORC1 è stata osservata a valori fisiologici di pH 7.2 – 7.4. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. In chimica, acidità significa proprietà di una sostanza di mandare in soluzione ioni d’idrogeno H+, (idrogenioni) e si misura con il pH (potenziale Hidrogenium). Il pH è la misura di acidità di un liquido, i cui valori vanno da 0 a 14. Da zero a 6.9 si ha una condizione acida, sette è neutra, oltre abbiamo una condizione alcalina. I fluidi entrano ed escono da una cellula con una carica elettrica perché i nutrienti sono convertiti in elettricità, senza la quale il cervello non potrebbe comunicare con gli altri organi. La carica elettrica è favorita da alcuni nutrienti minerali. Se questi sono assenti nei liquidi, il corpo li prende dalle riserve, impoverendo anche la massa ossea. Il sangue umano ha pH, a livello arterioso, compreso tra 7,38 e 7,42. Il sangue non è perfettamente neutro ma leggermente alcalino, poiché il suo pH è di poco superiore al sette. I processi metabolici che avvengono all’interno del corpo portano a continue variazioni del pH in un susseguirsi di apporto-eliminazione di “acidi” e “basi” che determinano modifiche nella concentrazione dello ione idrogeno (H+) con conseguente variazione del pH dell’organismo che deve far fronte a queste variazioni e mantenere il pH fisiologico (pH 7.38-7.42). Se l’ambiente in cui vivono le cellule diventa molto acido, tale acidità penetrerà all’interno delle cellule, alterando il pH del nucleo e creando i presupposti per quei fenomeni che sono comunemente chiamati “malattie da degenerazione cellulare”. Come detto in precedenza, l’ambiente extracellulare (fluidi corporei) svolge l’importante compito di mantenere il pH rigorosamente entro i limiti fisiologici. Minime variazioni di H+ intra ed extracellulari hanno la capacità di modificare la carica caratteristica delle proteine con conseguenti modificazioni della struttura e della funzione. Lo stretto controllo nel mantenimento della H+ costante nei fluidi extracellulari è il risultato di una sinergia di meccanismi regolatori in cui sono coinvolti i sistemi  di controllo propri nel sistema ematico e regolazione a livello renale, intestinale e polmonare. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. A livello cellulare, nell’ipertrofia muscolare, le proteine ​​contrattili aumentano di dimensioni e di numero. Avviene anche un aumento nel liquido (sarcoplasma), e il tessuto connettivo non contrattile si diffonde all’interno del muscolo creando ipertrofia sarcoplasmatica non funzionale e non sarcomerica funzionale. L’ipertrofia muscolare è un processo multidimensionale, con numerosi fattori coinvolti. Si tratta di una complessa risposta di segnali cellulari tra le cellule satelliti, il sistema immunitario, i fattori di crescita e gli ormoni, con le singole fibre muscolari di ciascun muscolo. Proteine ​​segnale chiamate citochine, provenienti dal sistema immunitario, interagiscono con i recettori specializzati sui muscoli per promuovere la crescita del tessuto. Alcuni ormoni anabolici (che promuovono la crescita muscolare), includono l’IGF1, il testosterone e l’ormone della crescita (GH) che giocano un ruolo primario nel promuovere l’ipertrofia. Ci sono molteplici meccanismi che sono responsabili dello stimolo della crescita muscolare e, probabilmente, ognuno di questi meccanismi può essere stimolato mediante metodi di allenamento diversi. Questi meccanismi sono: aumento della tensione muscolare o sollecitazioni meccaniche sul tessuto muscolare, deplezione di substrati energetici intramuscolari (fosfati, glicogeno) dovuta alle esigenze metaboliche; sollecitazioni meccaniche e metaboliche che portano a danni strutturali (micro-traumi), segnalazioni dallo stress meccanico sulle fibre muscolari, risposta ormonale (testosterone, GH, MGF, IGF-1, cortisolo), e risposta infiammatoria; sintesi proteica che porta all’ipertrofia muscolare. Durante le prime settimane d’allenamento vi è un miglioramento in termine di forza non corrispondente all’aumento della sezione trasversa del muscolo. Cambia la qualità dei filamenti di miosina ma non vi sono quantità sufficienti di proteine nelle cellule per creare aumenti in misura delle fibre muscolari stesse. Entro 8-12 settimane d’allenamento aumenta anche il volume in ragione del fatto che le proteine che compongono le miofibrille cominciano a unirsi alle fibre muscolari. I miglioramenti avvenuti nelle prime settimane d’allenamento sulla forza in persone non allenate sono quantificati fino al 40%. Una persona non allenata migliorerà a prescindere dall’allenamento proposto, almeno all’inizio ma, se non vi è periodizzazione, questi miglioramenti cesseranno in breve. L’obiettivo di un allenamento sulla forza all’interno di un macrociclo è di creare ipertrofia della sezione trasversa del muscolo e condizionare al reclutamento del numero massimo possibile di fibre muscolari oltre che aumentare la sintesi proteica (grande ruolo dell’alimentazione). Molte volte, miglioramenti anche del 50% sono solo imputabili a una maggior coordinazione neuromuscolare (s’impara il gesto). Il risultato deve essere, ad ogni modo, sempre misurabile. O attraverso il carico massimale (1RM) o, ancora, vedendo cosa avviene in termine di cambio della composizione corporea. Questo ci dirà se l’allenamento proposto produce reali miglioramenti, se ci stiamo sottoallenando o se rischiamo il sovrallenamento potendo così intervenire immediatamente anche con cambi d’alimentazione e integrazioni mirate e non approssimative. Pseudo miglioramenti o peggioramenti non saranno empirici ma provati e documentati. Questa fase prevede allenamenti con carichi attorno all’80-95% di 1 RM e alla massima velocità al fine di reclutare il maggior numero possibile di fibre veloci (FT). Vi saranno benefici attraverso l’aumento dell’attivazione delle unità motorie (reclutando il maggior numero di fibre veloci) e della capacità di sincronizzazione e coordinazione dei gruppi muscolari. Più aumenterà la capacità coordinativa e di sincronismo tra i muscoli più le fibre veloci (FT) diventeranno efficienti. Aumenteranno sia il diametro degli elementi contrattili del muscolo sia i livelli di testosterone in modo naturale. Il guadagno sarà più sulla forza che sull’ipertrofia e questo permetterà nei mesocicli successivi di utilizzare più carico. Aumenti di volume saranno possibili quasi esclusivamente per le persone che si avvicinano per la prima volta a questo sistema. Allenarsi in velocità con carichi alti permette di attivare fino all’85% delle fibre veloci (FT). Il rimanente 15% sono una riserva latente difficilmente utilizzabile (se non in casi d’estrema necessità) attraverso l’allenamento. Se avvenissero situazioni di mancanza di miglioramenti di forza nel tempo, è naturalmente possibile variare questa fase introducendo altri metodi (vedi capitolo riguardante i sistemi d’allenamento). FORZA-IPERTROFIA – ALIMENTAZIONE Vi sono però alcuni soggetti che, nonostante tutti gli sforzi, non riescono a migliorare in termine di ipertrofia muscolare. Il soggetto “non-responder“  ha scarsa risposta allo stimolo riguardo al protocollo di allenamento utilizzato nello studio scientifico di riferimento ma non significa che non risponda a stimoli diversi. Sono solitamente soggetti stressati, in ritenzione, dal sonno disturbato e con alimentazione inadeguata. I fattori di crescita nei soggetti “responder” associati all’ipertrofia aumentano in misura maggiore nella fase post allenamento in quanto facilitati nella riparazione muscolare attraverso mionuclei “predisposti geneticamente” oltre che avere una risposta migliore all’infiammazione post allenamento. Nei soggetti “NON RESPONDER” vi è una risposta infiammatoria amplificata nel post allenamento. I segnali pro-infiammatori post allenamento incrementano in tutti i soggetti in modo naturale, ma non nella stessa misura. Soggetti con difficoltà di crescita muscolare hanno marker proinfiammatori maggiori a sia a fine allenamento sia nel tempo, come CPK (CREATINFOSFOCHINASI) – LDH (LATTATO DEIDROGENASI), AST – ALT (Atleti). L’allenamento di resistenza tipico del body- building, determinando danno muscoloscheletrico, fa elevare ALT e AST che si trovano anche nei muscoli e che, pertanto, facilmente possono essere confusi come segno di stress o malattia epatica se non si considerano anche altri valori che danno un quadro più preciso sul substrato tissutale dal quale deriva l’innalzamento enzimatico osservato. Pertanto, diverso può essere il significato dell’elevazione dei valori di ALT e AST, a seconda che i soggetti osservati siano atleti (sottoposti a particolari regimi d’allenamento inducenti microlesioni muscolari, come nel caso dei culturisti) o sedentari. Il danno muscolare iniziale (eccessivo) inibisce l’ipertrofia facendo si che i muscoli riescono a riparare (lentamente) ma non a crescere. Ci vogliono molte settimane perché avvengano una serie di adattamenti che portano a una parziale protezione dei muscoli dai danni (repeated bout effect), SENZA AUMENTARE VOLUME E INTENSITA’ dopo di che i muscoli cominceranno a rispondere meglio allo stimolo. DOMS E REPEATED BOUT EFFECT (RBE) (effetto della ripetizione a un carico), rappresenta la capacità del muscolo di adattarsi agli stimoli meccanici rappresentati dalla contrazione muscolare SOPRATTUTTO IN ECCENTRICA riducendo la risposta dei DOMS. RBE indica che ripetendo una sessione di allenamento con i pesi, la risposta del DOMS, e quindi dell’indolenzimento percepito, è più attenuata rispetto alla prima. L’allenamento concentrico al contrario non è in grado di causare un simile livello di RBE. Più sono alla ricerca dello stimolo allenante e più sono predisposti a overtraining con alterazione del profilo endocrino (RIDUZIONE ORMONI ANABOLICI), aumento della produzione di catecolamine (INSONNIA). Modifiche psicologiche (FRUSTRAZIONE), alterazioni ematologiche, ferro, massa muscolare, equilibrio idrico e elettroliti (INFIAMMAZIONE). Oltre a  riduzione della concentrazione plasmatica di ormoni ipofisari (–GH), variazioni di aminoacidi con effetti sulla sintesi della serotonina (NERVOSISMO) e aumento degli infortuni. Vi è poi una soppressione immunitaria e aumento di malattie (l’attività delle cellule natural killer, la funzione dei neutrofili, risposta proliferativa dei linfociti, e altre misure di immunità). SCARSO O ECCESSIVO SOVRALLENAMENTO SIMPATICO Il sovrallenamento a carico del sistema nervoso simpatico è indotto principalmente dagli allenamenti ad alta intensità tipici di pesisti, bodybuilder, weight lifter, lottatori, etc. I “sintomi” sono soprattutto scarsa capacità di recuperare e ipereccitabilità. Pattern dei livelli energetici per questo tipo di sovrallenamento  sono stanchezza al mattino, lieve miglioramento in tarda mattinata, stanchezza accentuata e sonnolenza post pranzo, eccitabilità nel tardo pomeriggio, insonnia notturna. SOVRALLENAMENTO PARASIMPATICO Il sovrallenamento parasimpatico è indotto principalmente dagli allenamenti di endurance o di chi fa troppa attività “cardio”. Il pattern di energia in chi si sovrallena in maniera parasimpatica fa sì che vi sia scarsa voglia di fare, di interagire, socializzare e che siano sempre nervosi. MODIFICHE BIOCHIMICHE, FISIOLOGICHE E ORMONALI INDOTTE DAL SOVRALLENAMENTO Il sovrallenamento induce delle modifiche (negative) nella biochimica, nella fisiologia e nella produzione ormonali che si riflettono nel peggioramento della performance e dell’umore. Gli ormoni testosterone, GH, FSH ed LH si abbassano così come l’attività neuromuscolare; motivo per cui quando siamo sovrallenati ci sentiamo sempre stanchi e vuoti e con scarsa libido. L’errore frequente in questa situazione è dare stimolanti/caffeina o pre-workout nel tentativo di aumentare l’energia. La caffeina spinge ulteriormente le ghiandole surrenali a produrre un picco di cortisolo e a rilasciare noradrenalina. Questo depaupera ulteriormente l’organismo degli importanti “ormoni della risposta allo stress” compromettendo la situazione. Riferimenti bibliografici: Dario Boschiero: Approfondimenti sul pH tissutale extracellulare – Sistemi tampone fosfato e bicarbonato 1 / 3Autore: Dario Boschiero Rev. 2   Data: 31/3/2006 Sebastian   A,   Frassetto   LA,   Sellmeyer   DE,   Merriam  RL,   Morris   RC. Estimation   of   the   net acid   load   of   the   diet   of   ancestral   preagricultur in Homo  sapiens  and  their hominid ancestors. 2002. Am J Clin Nutr 76: 1308-16 Kurtz  I,   Maher   T,   Hulter   HN,   Schambelen   M,   Sebastian   A.   Effect   of   diet   on   plasma  acid-base composition in normal humans. 1983. Kidney Int. 24 (5): 68-70 Frassetto   LA,   Morris   RC,   Sebastian   A.   Effect   of   age   on   blood   acid-base   composition   in adults humans: role of age-related funtional decline. 1996 Am J Physiol. 271:F1114-22; Lutz   J.  Calcium  balance   and  acid-base   status  of   women  as  affected  by  increased  protein intake and by sodium bicarbonate ingestion. 1984 Am J Clin Nutr. 39: 281-288; Heaney RP, Gallagher J, Johston C, Neer R, Parfitt A, Whedon GD. Calcium nutrition and bone health in the elderly. 1982 Am J Clin Nutr. 36(5): 986-1013 #Fitness #PreparazioneAtletica

  • Macchine, pesi liberi o conoscenza dell’azione muscolare e della biomeccanica articolare?

    Di Claudio Suardi e Chiara De Nigris Nell’allenamento muscolare da sempre vi è una controversia che riguarda i modi e la scelta riguardante i pro e i contro delle macchine o dei pesi liberi. Tutti noi siamo al corrente che, dopo i bilancieri e i manubri, le prime macchine per l’allenamento muscolare sono state, alcuni decenni fa, quelle a cavi (la prima fu la pullover machine). La fantasia corre e rivive il ciclo della moda e vado indietro nel tempo. Mi sembra di rivivere il periodo dei pantaloni a “zampa d’elefante” che inesorabilmente passano e tornano di moda. I guru del fashion decidono chi è “in” e chi è “out”. Ogni decennio rispuntano per magia, minigonne, camicette a fiori messe solo qualche mese prima nei contenitori per i poveri perché “out”. Cosa propone oggi l’industria del fitness? Macchine a cavi a mo di slogan: ”Il miglior modo di allenarsi!”. Trenta anni di vita del fitness vissute come nel mondo della moda… bilancieri, manubri, cavi, macchine a camme, macchine fisse, a più regolazioni, poi di nuovo standard e senza regolazioni, cavi non in vista ma nascosti dietro una parete. Cavi “eleganti” per l’uomo chic con l’unica differenza che sono più costosi. Chissà, forse il futuro ci riserverà novità ancora più eclatanti come bilancieri e manubri? … Torniamo al tema di base … macchine o pesi liberi? Da internet, digitando “pesi liberi” e “macchine” trovo queste conclusioni: PESI LIBERI Asserzioni: I pesi liberi richiedono una maggiore coordinazione neuromuscolare, permettono traiettorie fisiologicamente più corrette, ma non sempre sono adatti ad isolare il singolo muscolo e limitano la tensione del muscolo soltanto ad una parte dell’arco di movimento… Considerazioni: Maggior coordinazione muscolare? L’allenamento dovrebbe portare ad una maggiore e migliore coordinazione, oltre che utilizzare i muscoli stabilizzatori, sinergici, eccetera… uno a zero per i pesi liberi! Traiettorie più corrette? Che ben vengano! (due a zero) Non sempre sono adatti a isolare il singolo muscolo? Perché… si può isolare? Ma, il corpo umano, non si muove per catene? (tre a zero) Limitano la tensione ad una parte del movimento? Non è un problema di tensione ma di vantaggio biomeccanico. Come si può notare nella foto 1, durante le flessioni dei gomiti per i bicipiti, secondo lo studio di Willmore e Costill il carico varia dal 71% (a 180°) al 100% (a 100°) (da braccia distese ad angolo retto) per diminuire ancora verso i 60° (67% del peso utilizzato) per un discorso di leva favorevole. Le macchine a camme distribuiscono il carico durante tutto l’arco del movimento (Wathen e Roll, 1994), peccato che il più delle volte l’allungamento è incompleto (vedi panca Scott). Abbiamo una distribuzione del carico migliore (?) ma eseguiamo un movimento incompleto. Ha senso? (quattro a zero). MACCHINE Asserzioni: Le macchine sono indicate per i principianti perché la tecnica d’esecuzione è più semplice da apprendere e consentono di isolare meglio i muscoli, se ben costruite, danno modo di assumere una postura corretta utile a non sovraccaricare eccessivamente la colonna vertebrale, molto spesso obbligano a traiettorie non fisiologicamente corrette… Sono indicate per i principianti? Forse perché i principianti non hanno muscoli stabilizzatori o sinergici da allenare? Se ben costruite, fanno assumere una postura utile a non caricare ECCESSIVAMENTE la colonna vertebrale? Forse perché i principianti possono farsi male più degli “avanzati”? Obbligano a traiettorie non corrette? Non bisogna generalizzare. Il fatto è che le macchine sono standard rispetto ad una media dell’altezza, della lunghezza degli arti ecc. Se il mio cliente non ha problemi particolari e rientra nella media nessun problema. Importante è di non adattare il cliente o all’esercizio a tutti i costi. E questo vale anche per tutti gli esercizi, pesi liberi compresi. Portiamo ad esempio un esercizio per i pettorali, la pectoral machine per “isolare” ed eseguire un movimento “sicuro” per i principianti. L’esempio vale per qualsiasi macchina! La Pectoral Machine non consente il massimo allungamento fisiologico (all’inizio del movimento) e si esegue a gomito flesso a 90°. È pericolosa perché mantiene una rotazione esterna della spalla mentre l’azione muscolare/articolare è d’extrarotazione in partenza e d’intrarotazione durante l’arco del movimento (azione del pettorale, adduzione e rotazione interna dell’omero, flessione della spalla). La tenuta in rotazione esterna con azione dell’avambraccio verso i cuscini d’appoggio provoca, inoltre, una spinta della testa dell’omero nella cavità glenoidea provocando azione di compressione sulla capsula articolare. Persone con accorciamento degli intrarotatori o per rigidità articolare (calcificazioni, artrosi, ecc.) sono obbligate, per raggiungere la posizione di partenza, a lordotizzare a livello lombare con relativa iperestensione delle vertebre lombari. Persone con ipercifosi dorsale possono raggiungere la posizione di partenza solo portando le braccia in avanti (ROM limitato). Il movimento è eseguito attraverso un’adduzione orizzontale sul piano frontale mentre il movimento naturale avviene invece sui tre piani, frontale, sagittale e traverso. Principi dell’allenamento muscolare: Rispetto della Funzione Massimo allungamento fisiologico soggettivo Massimo accorciamento fisiologico soggettivo Massima efficacia, minimo rischio Anatomia del Muscolo Pettorale in allungamento e rotazione esterna (posizione di partenza per massima resa, minimo rischio) Secondo la considerazione che le macchine vanno bene per i principianti perché la tecnica è semplice mi viene più di un dubbio… forse c’è qualcosa di sbagliato nelle affermazioni standard? Forse conta la preparazione tecnica del trainer più della pubblicità elargita dai costruttori d’attrezzi? Dopo questi esempi e considerazioni, penso sia inutile asserire in assoluto che i pesi liberi sono migliori delle macchine. In generale si, ma, quello che conta veramente è la conoscenza tecnica del Personal Trainer. È lui / lei il valore aggiunto. Attraverso le azioni muscolari e la biomeccanica articolare possiamo fornire al nostro cliente e a noi stessi un allenamento in sicurezza, distinguendoci per preparazione e competenza, non per moda. #Fitness

  • Alzate laterali, lento dietro la nuca, distensione due manubri

    Il “lento dietro” è considerato, da molti, l’esercizio più importante per l’allenamento delle spalle. A mio parere è solo uno dei più pericolosi perché, come per un farmaco, anche l’esercizio deve guardare al costo / beneficio. Nel caso in questione, come vedremo, il costo (prezzo da pagare in termine di possibili infortuni) è notevolmente superiore al beneficio. Molti di voi, a questo punto, avranno pensato alle molteplici volte che hanno letto o sentito parlare del “lento dietro” come dell’esercizio principale e “migliore” per le spalle. A parte il fatto che ognuno è libero di vivere, morire, allenarsi e farsi male come crede, farò una disamina dal punto di vista tecnico scientifico e non personale. Un amico nonché grandissimo scienziato, qualche giorno fa, riguardo al “secondo me…”, “ho letto che…”, o, “mi hanno detto che…”, mi ha risposto in questo modo: “Nel mondo esistono cose scientifiche e cose supposte, le scientifiche le mettiamo in testa, le supposte…” L’analisi non riguarda la contrazione muscolare (i muscoli si contraggono a prescindere) ma l’integrità articolare, la possibilità di allenarsi nel tempo. Durante le alzate laterali, (figura 1) il movimento inizia dalla posizione naturale delle braccia, prosegue verso l’alto formando un piccolo arco in avanti assieme ad una rotazione della spalla all’esterno. La rotazione esterna evita possibili impingement (intrappolamenti) del sovraspinato contro il legamento acromion clavicolare con relativo possibile schiacciamento della borsa (figura 2/3). La rotazione all’interno, viceversa, crea un conflitto della grande tuberosità dell’omero contro il legamento acromionclavicolare (movimento tipico delle trazioni al mento), (figura 4 e 5). Le braccia sono anteposte e seguono il movimento allineato con la scapola (figura 6). Figura 1 Inizio, massimo allungamento del deltoide mediale. Intermedio e fine del movimento, rotazione esterna della spalla. L’omero segue la direzione della scapola. Figura 2 Figura 3 Figura 4 L’abduzione dell’omero in rotazione interna non è possibile per impatto della tuberosità omerale contro l’acromion. Figura 5 Abduzione dell’omero e rotazione interna sono ad alto rischio d’impingement. Figura 6 La scapola è orientata in avanti di circa 30° Leva La differenza meccanica tra le alzate laterali, il “lento dietro” e le distensioni due manubri sta nel tipo di leva utilizzata. Alzate laterali, leva lunga e sfavorevole, bassa potenzialità di carico, movimento articolare libero. Possibilità di ruotare le spalle esternamente, basso rischio Distensioni due manubri, leva corta e favorevole, medio alta potenzialità di carico, movimento articolare libero, possibilità di ruotare le spalle esternamente, basso rischio Lento dietro la nuca, leva corta e favorevole, alta potenzialità di carico, nessuna possibilità di ruotare le spalle, alto rischio. Dal punto di vista dell’integrità articolare e della naturalità del movimento, il “lento dietro la nuca” è un esercizio in cui il rapporto rischio-beneficio è ad appannaggio del primo, salvo in soggetti molto dotati e mobili. Nel “lento dietro” con bilanciere diritto sarà impossibile ruotare esternamente nel caso o di scarsa mobilità articolare o di muscolatura “antagonista” retratta. La mancanza di mobilità impedirà la normale funzione fisiologica portando i gomiti a spingere indietro ad un angolo sfavorevole per la distensione (gomito non allineato in verticale al polso, come mostrato nella figura 7) Figura 7 Se i rotatori interni dell’omero (pettorali, gran dorsale, sottoscapolare e piccolo rotondo) non sono sufficientemente flessibili, i rotatori esterni dovranno spingere duramente per bilanciare la trazione scaricando la mancanza d’elasticità sul collo o sulla schiena modificando magari le curve naturali. L’estrema forzatura in rotazione esterna della spalla abbinata ad iperabduzione dell’omero durante il movimento porta a pressione stressante alla capsula articolare e ai legamenti gleno omerali inferiori che possono causare instabilità della spalla. Biomeccanica scorretta abbinata ad esercizi ripetuti per centinaia di volte con alto carico portano ad infiammazioni e fibrosi a capsule, legamenti, tendini, borse ecc. A questo punto la domanda pare scontata… ha senso rovinarsi l’articolazione della spalla con esercizi obsoleti quando è possibile allenarsi in maggiore sicurezza? Qui di seguito il referto di un atleta di 30 anni dopo anni d’usura articolare. Se vogliamo rischiare come lui, avanti con il “lento dietro”! #Fitness #PreparazioneAtletica

  • Ipertrofia, Periodizzazione e Scienza

    di Claudio Suardi (MFS) & Chiara De Nigris (DSM) Qual è il miglior sistema di allenamento? Quante volte ci hanno fatto domanda e quante volte abbiamo risposto, quello che funziona. L’allenamento è una teoria che si basa sulla scienza. Quello che funziona per me, può non essere efficace per un altro e viceversa. Stessa cosa per l’alimentazione. Se due ragazzi si allenassero insieme con lo stesso programma e alimentazione probabilmente avrebbero due risultati diversi. Sicuramente periodizzare è meglio, alternando periodi di forza, ipertrofia, definizione. La forza, spesso trascurata nel bodybuilding è un fattore importantissimo perché alza il livello di base per le fasi d’ipertrofia successive. Ad esempio, se prima sollevavo 50 Kg per dieci ripetizioni, aumentando la forza, sarò in gradi eseguire dieci ripetizioni con 55 Kg, evitando ciò che è chiamata “sindrome dell’adattamento biologico”, che porta al blocco dei risultati. I criteri di scelta vanno ricercati nel principio delle differenze individuali, in altre parole, dal fatto che, essendo tutti geneticamente diversi, non rispondiamo allo stesso modo allo stimolo dato dall’allenamento. Solo il contatto continuo con il cliente (ascoltando e capendo le sue sensazioni, le capacità di recupero, le risposte) e un feedback efficace ci potrà fare scegliere un metodo piuttosto che un altro. Valgono perciò i principi generali sulla programmazione adattandoli soggettivamente. Inseguire o proporre un solo metodo è una limitazione. Un buon PT conosce le scienze esatte e le applica. Qual è il miglior metodo? Quello che funziona e che si sposa al cliente! Solo testando saremo in grado di capire se l’allenamento e l’alimentazione funzionano oppure no. Test specifici rispetto all’obiettivo. E solo i test successivi ci diranno se ha funzionato oppure no. L’allenamento per l’ipertrofia ha lo scopo di provocare cambi biochimici all’interno del muscolo, necessari per lo sviluppo della massa muscolare. Sfortunatamente per molta gente l’aumento del volume muscolare è limitato alla durata dell’allenamento o poco più e spesso è dovuto a un ristagno di fluidi all’interno dei muscoli (ipertrofia sarcoplasmatica). In altre parole, “l’aumento muscolare” è dovuto a uno spostamento dei fluidi corporei all’interno delle cellule sotto sforzo invece che a un reale aumento del volume delle fibre. Occorre lavorare sulle percentuali rispetto al massimale piuttosto che su un numero prefissato di ripetizioni. Il numero di ripetizioni rispetto al massimale non è standard. Persone testate hanno risposto in modo diverso in termini di ripetizioni eseguite a una determinata percentuale di carico rispetto al massimale fino a dieci ripetizioni. Le tabelle standard riportano, ad esempio, all’85% del massimale, la possibilità di eseguire 5-6 ripetizioni. Persone con alta tolleranza alla resistenza (ST o + fibre lente) riescono a eseguirne molte di più, talvolta anche 10-12. Viceversa persone con bassa tolleranza alla resistenza (FT o + fibre veloci) ne eseguono magari solo tre. L’alternanza di carico meccanico (peso) e metabolico (acido lattico) sono fondamentali per il miglioramento. Schoenfeld ha dimostrato in uno dei suoi studi, che anche pesi “bassi” ma condotti all’esaurimento (programmato in uno dei micro cicli) possono portare all’ipertrofia muscolare ricercata. E questo sicuramente può suonare strano. I criteri da mettere in pratica in un allenamento ipertrofico, oltre alla periodizzazione, sono produrre TENSIONE MUSCOLARE, (carico / tempo di esecuzione del set, recupero tra un set e l’altro). Questo disturba l’integrità dei muscoli per un meccanismo chiamato di meccanotrasduzione. Per effetto di questo meccanismo si crea DANNO MUSCOLARE attraverso delle micro lacerazioni. Le cellule immunitarie, macrofagi, neutrofili ecc. migrano perciò nel tessuto per rimuovere le sostanze danneggiate e favorire la conservazione o l’aumento della struttura delle fibre attraverso la produzione di citochine che rilasciano i fattori di crescita. Non sentire i DOMS non è un segnale di non crescita perché più ci si allena e più aumenta la resistenza all’indolenzimento. Se troppi DOMS, non c’è crescita perché si è andati oltre le proprie capacità, in modo negativo! Lo STRESS METABOLICO, in altre parole l’aumento di metaboliti (lattati, ioni H+, fosfati inorganici) crea stimolo ormonale e questo si ottiene o lavorando a esaurimento o riducendo i tempi di recupero. Un esempio che comprende tensione, danno e stress metabolico è l’allenamento a dropoff, dove si creano, nello stesso set tutti i tipi di stress sopra elencati. A questo punto, l’organismo “in fisiologia” risponde ricostruendo il tessuto danneggiato depositando maggiori quantità di materiale proteico attraverso la produzione di nuove miofibrille di diametro maggiore e la produzione di nuovi sarcomeri. Le cellule muscolari a questo punto incrementano i depositi di Creatinfosfato CP, Adenosintrifosfato ATP e Glicogeno attraverso modificazioni che portano notevoli vantaggi nell’esecuzione di sforzi brevi ma intensi, tipici dell’attività anaerobica. L’adeguato ed elevato stimolo meccanico con stress in allungamento deve portare alla produzione di ”fattore di crescita miogeno” locale a livello dei muscoli sollecitati con riparazione dei microtraumi da parte delle cellule satelliti (ipertrofia). Come detto in precedenza, l’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare il pH al quale è associato un aumento del GH. Avvengono inoltre delle micro lesioni sulla membrana che stimolano dei processi ormonali tramite i quali occorre la sintesi proteica. Altro fattore importante è la deplezione di glicogeno che in fase di recupero è reintegrato con una supercompensazione a livello di ritenzione dello stesso. L’ipertrofia muscolare è un processo multidimensionale, con numerosi fattori coinvolti. Si tratta di una complessa risposta di segnali cellulari tra le cellule satelliti, il sistema immunitario, i fattori di crescita e gli ormoni, con le singole fibre muscolari di ciascun muscolo. Proteine segnale chiamate citochine, provenienti dal sistema immunitario, interagiscono con i recettori specializzati sui muscoli per promuovere la crescita del tessuto. Alcuni ormoni anabolici (che promuovono la crescita muscolare), includono l’IGF1, il testosterone e l’ormone della crescita (GH) che giocano un ruolo primario nel promuovere l’ipertrofia. Ci sono molteplici meccanismi che sono responsabili dello stimolo della crescita muscolare e, probabilmente, ognuno di questi può essere stimolato mediante metodi di allenamento diversi. Dal punto di vista biochimico la fatica è caratterizzata dalla riduzione o dalla scomparsa delle sostanze che costituiscono i depositi energetici (creatinfosfato e glicogeno) contenuti nel muscolo e dall’accumulo di acido lattico che porta ad acidosi con conseguente inibizione degli enzimi implicati nella demolizione del glicogeno e l’aumento del potassio extracellulare che rende i muscoli non eccitabili. In uno stato di prolungata contrazione si osserva una minore capacità da parte del muscolo di fornire energia meccanicarilasciandosi molto più lentamente. Quando i meccanismi responsabili della resintesi di ATP non riescono a mantenerla a livelli ottimali, mettono in atto situazioni che non permettono di proseguire lo sforzo in maniera voluta. In uno sforzo d’intensità massimale e breve accade che il calcio non rientri più nei tubuli diminuendo il rilasciamento muscolare e quindi la contrazione successiva. Il potassio tende a uscire dalle fibre (per abbassamento delle concentrazioni di ATP) abbassando il potenziale d’azione e quindi l’ingresso del calcio. L’aumento della concentrazione di fosfati (a causa della scissione dell’ATP in ADP) inibisce l’accoppiamento eccitazione-contrazione. La cellula muscolare ha a disposizione riserve limitate di ATP (circa 2,5 g/Kg di muscolo). Il nostro organismo ha comunque a disposizione dei sistemi energetici che gli permettono di risintetizzare continuamente ATP. ESEMPIO DI PERIODIZZAZIONE PER PRINCIPIANTI (PRIMO ANNO D’ATTIVITÀ) E’ importantissimo che i principianti non cerchino di seguire esempi d’allenamento per avanzati. Qui di seguito è proposto un modello d’allenamento annuale così descritto. Otto settimane di fase d’adattamento, tempo necessario per preparare i muscoli, i tendini e i legamenti alle fasi successive. Tre settimane d’Aumento Massa, una settimana di recupero (R), tre settimane d’Aumento Massa, una settimana di recupero (R). Solo dopo questo periodo iniziale è possibile pensare a fasi più lunghe. Nell’esempio sottostante è proposto un recupero completo di due settimane nel mese di febbraio al fine di rigenerarsi completamente. Tra un micro ciclo e l’altro eseguire i test di controllo al fine di valutare l’interiorizzazione dello stesso. La scienza al servizio del personal trainer. #Fitness #Ipertrofia

  • Bikini e Men’s Phisique – Atleti a tutti gli effetti

    Di Claudio Suardi & Chiara De Nigris Da qualche anno due nuove figure hanno dato slancio al mondo delle competizioni “estetiche” oltre al già noto bodybuilding; bikini e men’s physique. Sono due categorie difficili da allenare perché il criterio e il giudizio può cambiare di gara in gara. I presupposti delle bikini, ad esempio, sono bellezza, non troppo muscolose ne troppo definite, non devono presentare inestetismi, avere linea, proporzioni, bellezza del volto, buon aspetto estetico generale, colore, pettinatura e trucco “ad hoc”. Naturalezza, eleganza, simmetria, sicurezza, carisma e sex appeal sono gli elementi che fanno la differenza. La preparazione alla gara ai più risulta semplice ma così non è. Avere volume, densità, giusta definizione comporta grandi capacità e sacrifici. Come detto, l’obbiettivo della gara è arrivare alla massima forma fisica con definizione, pienezza, durezza e proporzioni mantenendo la massa muscolare, meno acqua extracellulare possibile e grasso al punto giusto perché spesso il poco grasso tende a svuotare rendendo piatta la muscolatura. La fotografia iniziale riguarda l’osservazione, immaginando come saranno una volta sul palco. La composizione corporea “esterna” riguarda le pliche distrettuali e le circonferenze, la BIA fornisce informazioni globali e non distrettuali da leggere e interpretare con accuratezza. L’occhio e il confronto fotografico nel tempo permettono di vedere progressi e regressi per intervenire immediatamente e con la massima precisione. Le misure prese non possono e non devono essere confrontate con altri o con la media della popolazione ma solo con gli atleti stessi. Gli atleti non fanno parte della media della popolazione! Le aree che portano un atleta in gara passano da composizione corporea / osservazione / alimentazione / integrazione / allenamento. Il tutto incastrato a dovere. Solo l’ottimizzazione “globale” consente di arrivare sul palco al massimo delle proprie possibilità e capacità. Occorre misurare dose e risposta su ognuno dei cambiamenti che si apportano stando molto attenti a non sfociare nel sovrallenamento che porterebbe inevitabilmente a decremento delle prestazioni e, spesso a antiestetici svuotamenti muscolari. In questo caso il recupero richiede molte settimane o addirittura mesi. Una variazione “ricercata” di sovrallenamento è l’overreaching, che solitamente è recuperato in pochi giorni. L’allenamento deve essere strutturato attraverso fasi di overreaching per fornire varietà e stimoli. L’overreaching è una condizione nella quale gli atleti si allenano oltre le loro capacità di adattamento spingendosi al punto in cui il processo di ricostruzione (anabolico) e la riparazione dei tessuti non riescono a tenere il ritmo con il processo catabolico o di “esaurimento” e può essere considerato una forma di overtraining a breve termine, nel quale l’adattamento è compromesso ma non c’è alcuna perdita riguardo agli adattamenti precedenti. Il soggetto sovrallenato incorrerà inoltre nell’alterazione del profilo endocrino (diminuzione del supporto ormonale), aumento della produzione di catecolamine (insonnia), scarsa motivazione (apatia), alterazioni ematologiche come ferro ed elettroliti (debolezza), perdita di forza e massa muscolare. Quando le ghiandole surrenali producono troppi o troppo pochi ormoni si soffre di ciò che è stata definita come stanchezza surrenale. L’incapacità di riposare profondamente porta a essere già affaticati al risveglio, a frequenti cali di zuccheri durante la giornata, sonnolenza dopo i pasti e fatica ad addormentarsi. Per combatterla e in caso di preparazione gara: se si è in fase di carboidrati bassi (<30%), portarli almeno a 120 gr al giorno al fine di evitare la chetosi che sarebbe solo uno stress in più per l’organismo; proteine a non più di 2 gr/kg (meno lavoro del fegato, rene e relativa minor acidosi), alzare i grassi saturi di qualità come uova, salmone, sgombro, ecc. oltre che quelli insaturi. Abolire inoltre sia lo scatolame e gli alimenti pro infiammatori come farine, zuccheri ecc. Occorre inoltre diminuire o eliminare gli AGEs per la loro funzione infiammatoria. Gli AGEs o prodotti finali di glicosilazione promuovono stress ossidativo e infiammatorio (aumento di citochine e ROS) formando dei crosslink con le proteine corporee, alterando la loro struttura e funzione e modificandone le proprietà chimiche e biologiche. La strategia di allenamento e alimentazione è particolarmente soggetta a variazioni man mano che ci si avvicina al momento della competizione. La precisione in termini di quantità di macronutrienti è fondamentale per il risultato finale. Spesso, piccoli spostamenti portano a variazioni notevoli. La quantità, la qualità e la variazione dei macronutrienti deve essere relativa allo stato di forma, all’acqua, alla densità, pienezza e definizione vista giorno per giorno e non stabilita a priori. Nelle ragazze variare i carboidrati verso il basso nei giorni in cui allenano le gambe aumentando i grassi sia saturi sia insaturi con le giuste percentuali lasciando invariato le proteine permette di spostare meno acqua nelle zone a rischio. Nei giorni dove si allena la parte superiore si può, eventualmente, aumentare i carboidrati e diminuire i grassi. Questa strategia spesso permette un’ottimizzazione dei carichi con relative risposte spesso positive. La scelta degli alimenti non deve essere casuale ma il PT preparato può fare la differenza attraverso la scelta “giusta” per ogni atleta. Esempio, se devo scegliere un tipo di riso devo sapere che: il RISO BIANCO, essendo privo o povero di fibra ha un alto indice glicemico e quindi rilascia più velocemente zuccheri nel sangue in seguito alla sua assunzione ma può essere utilizzato nei casi di dissenteria grazie al suo effetto astringente. Il RISO INTEGRALE non ha subito processi di raffinazione e conserva quindi intatta la crusca e la fibra presenti all’interno. per questo motivo ha un indice glicemico più basso rispetto al riso bianco e la presenza della fibra determina un maggiore effetto saziante aumentando il transito intestinale. Il RISO BASMATI invece ha un basso indice glicemico e un inferiore contenuto di grassi. Il RISO NERO possiede proprietà antiossidanti. Gli antociani sono concentrati nel riso nero in quantità maggiore rispetto ai mirtilli, ribes e frutti rossi. È un riso integrale con un basso indice glicemico. Viene chiamato “riso Venere” per le proprietà potenzialmente afrodisiache. Il RISO ROSSO viene ottenuto da una miscela di varietà di riso differenti condite con un’erba Ha indice glicemico più basso. Il RISO PARBOILED ha subito un processo industriale di lavorazione, il parboiling, che ne indurisce l’amido in superficie e determina una maggiore conservabilità, tempi di cottura inferiori e un indice glicemico più basso. Le GALLETTE mediamente apportano per 100: gr 392 Calorie, 4.3 gr di grassi, 81 gr di carboidrati e 7 gr di proteine. La tecnica per produrle è l’estrusione. I chicchi di riso (o altri tipi di cereali e semi), posti nell’estrusore, sono sottoposti a un’elevata temperatura sui 200° e a un’enorme pressione: il passaggio nella macchina è rapido e poi il cereale stritolato, viene spinto fuori attraverso minuscoli fori. La differenza di pressione tra l’interno e l’esterno della macchina fa gonfiare il cereale e la galletta è fatta: un composto molto povero di umidità, molto croccante e ricco di aria, alcune insaporite con sale prima della produzione, altre addizionate con aromi. AGEs? Molto alti! Occhio allora ai soggetti in ritenzione. Nelle gallette di riso la cottura ad alte temperature porta alla reazione di Maillard tra la lisina e il glucosio derivante dall’amido e in seguito ad una serie di reazioni a cascata verranno a formarsi prodotti definiti melanoidinici che conferiscono il caratteristico colore bruno o abbrustolito degli alimenti amidacei (pane, caramello, patatine, biscotti, ecc). Kcal tra una galletta e l’altra1 galletta di riso31-35 Kcal1 galletta di mais20-22 Kcal1 galletta di farro23 Kcal1 galletta 5 cereali29 Kcal Nei giorni finali occorre eliminare tutti i cibi che potrebbero gonfiare per l’alta quantità di fibre come legumi, broccoli, cavoli, cavoletti di Bruxelles, cipolle, carciofi, asparagi, pere, mele e pesche, cereali integrali, come grano integrale e crusca, bevande analcoliche e alla frutta, latte e prodotti lattiero-caseari come formaggi e gelati, alimenti confezionati preparati con lattosio, come pane, cereali e condimenti per l’insalata. Alimenti contenenti sorbitolo, come alimenti dietetici e caramelle senza zucchero. L’atleta è paragonabile a una formula 1 e deve essere “messo a punto” con dovizia e capacità, deve avere la miglior benzina possibile, l’olio al punto giusto oltre che un radiatore che funziona alla perfezione. Motore (muscolo), radiatore (acqua), benzina (cibo) e olio (grasso) devono essere perfettamente bilanciati. Di seguito alcuni dei grandi atleti che ho avuto e con i quali ho la fortuna di confrontarmi, seguire e collaborare giornalmente. Ognuno diverso, ognuno con le proprie individualità biochimiche, risposte, carattere. Unici nella loro unicità! “Ad ogni allenamento, ad ogni set ti senti stanco e distrutto perchè hai superato il tuo limite. Sai che è solo il primo passo e quando finisce il set e senti i muscoli scoppiare, sei consapevole che tutto deve essere ricondotto alla normalità in pochi secondi. In pochissimo tempo occorre superare la crisi per riuscire a superarti di nuovo, altrimenti avresti fatto un altro mestiere!”. Claudio Suardi #PreparazioneAtletica

  • Allenamento e menopausa: per le donne una nuova giovinezza

    Menopausa: una parola che spaventa molte donne, pur essendo un momento naturale della vita femminile, la fine di una fase e l’inizio di un’altra. Ciò che rende doloroso o difficile un cambiamento è la resistenza allo stesso. E’ quindi importante capire, prevenire e accettare questo delicatissimo passaggio. Fisiologicamente la menopausa rappresenta la fine dell’attività ovarica e della fertilità. Le ovaie non producono più follicoli, ormoni come inibina e gonadotropina, estrogeni e progesterone. Vi sono vari tipi di menopausa: – naturale: tra i 45/55 anni dove il ciclo mestruale cambia per frequenza e flusso. – prematura: tra i 35/40 anni dove interferiscono fattori di rischio come stress acuto e/o carenza nutrizionale. – artificiale: chirurgica o indotta con terapie farmacologiche per agire su fibromi uterini. Nella menopausa si osserva una serie di mutamenti di origine metabolica, trofica, sessuale e psicologica nella donna. La sintomatologia della riduzione di estrogeni e progesterone vede eventi vasomotori come eccessiva sudorazione e vampate, disturbi del sonno, gonfiore, irritabilità, prurito, pelle secca e più sottile a causa della perdita di collagene, atrofia vaginale, diminuzione di elasticità e lubrificazione, calo della libido. Gli estrogeni in età fertile sono grandi alleati delle donne perché protettori dalle malattie cardiovascolari. Venendo meno, i grassi nel sangue aumentano, il flusso ematico nei vasi si riduce influenzando negativamente la pressione arteriosa. Il calcio che si fissa nelle ossa è inferiore a quello che si perde, mettendo la donna a rischio di osteopenia e osteoporosi. Il metabolismo rallenta e avviene un aumento ponderale a livello addominale con conseguente rischio di diabete, infarto e sindrome metabolica. In questo infelice panorama sono chiari i disagi psicologici e i rischi per la salute nella quale la donna può incorrere. Correre ai ripari significa per prima cosa conoscere, prevenire. agire. L’allenamento torna di nuovo come terapia e come Partner per la donna. Le linee-guida OMS (1996) enunciano il concetto che l’attivita’ fisica deve essere prescritta a tutti secondo un gradiente di salute ed efficienza fisica, differenziando gli obiettivi secondo la posizione individuale in tale sistema di riferimento. Per la donna è necessario differenziare un mantenimento / miglioramento dell’efficienza fisica pre o inizio della menopausa e una prevenzione dello stato di salute post menopausa; tale differenziazione è necessaria se si tiene conto dell’eta’ anagrafica del soggetto. Presupponendo e rilevando che l’allenamento deve essere sempre personalizzato e adattato alle specificità individuali, cerchiamo di mantenerci sulle linee guida dell’ACSM che suggerisce un’attivita’ fisica volta a incrementare la massima capacità aerobica, unendo esercizi coordinativi, per la mobilità e l’utilizzo pesi per stimolare la densità ossea (con carichi assiali e gravitari) evitando o arginando pericoli osteoporotici. L’ALLENAMENTO CON I PESI resta però il migliore antidoto contro la patologica perdita di massa muscolare (e di BMR) legata all’età, alla menopausa e all’inattività in generale. (Curr Sports Med Rep. 2010). Statisticamente la menopausa si accompagna a un aumento di grasso viscerale e a una perdita di massa magra media di circa tre chili. Penalizzato il BMR che registra una riduzione di circa 90 kcal al giorno. Quindi continuando a introdurre la stessa quantità di calorie aumenterà gradualmente anche il peso. 90 Kcal x 365 giorni = 32850 Kcal l’anno. L’allenamento aerobico e/o intervallato è necessario per la diminuzione sia del grasso viscerale (VAT) sia intramuscolare (IMAT). Quando l’IMAT raggiunge valori significativi si associa a obesità, insulinoresistenza e diabete II. Il grasso intramuscolare è un marcatore ancora più attendibile d’insulinoresistenza rispetto al grasso viscerale. Romijn et al. Regulation of endogenous fat and carbohydrate metabolism in relation to exercise intensity and duration. Am J Physiol. 1993 Sep;265(3 Pt 1):E380-91. Tutto condito da una corretta e personalizzata alimentazione, per contrastare il fisiologico aumento ponderale e il calo energetico. Il lato psicologico di quanto affrontato rimane lo scoglio più complesso perché si confronta con i nostri tempi. Nelle civiltà arcaiche la donna in menopausa acquisiva una nuova luce nella società, perché aveva portato a termine il “ciclo” delle meravigliose trasformazioni femminili; era detentrice di saggezza, aveva raggiunto l’apex, l’equilibrio tra mondo interno ed esterno. Noi siamo in un’epoca, dove individuo è uguale a immagine vincente e produttività. La menopausa è vista come cessazione, come statico declino, mentre andrebbe letta come osservare dal picco di una vetta il paesaggio sottostante, il percorso fatto. In una società dove spasmodicamente si combatte il tempo (o meglio si cerca di coprire il suo passaggio, vedi chirurgia estetica) c’è poco spazio per l’accettazione di un passaggio difficile ma pieno di esperienza e consapevolezza. L’allenamento è la nostra forza contro l’invecchiamento cutaneo e psicologico e grazie all’incremento dei livelli di catecolamine ed endorfine e’ il nostro buon umore. Quindi, care donne, bisogna allenarsi e pensare che dopo ogni fine ci sia un inizio. #Fitness #Menopausa

  • Allenare l’estetica rispettando la funzione è sempre possibile?

    La parola “Fitness” ci riporta a concetti di benessere psicofisico e ci induce a pensare al “mens sana in corpore sano”. Ma, un corpo sano, risponde necessariamente a canoni estetici? Funzionalità ed estetica sono sempre compatibili? Funzionalità: La priorità dell’atleta è utilizzare tecniche allenanti dove la funzione è applicata al gesto specifico da compiere. Ad esempio, chi pratica volley o salto in alto, allenerà le gambe soprattutto con lo squat, in tutte le sue varianti e non con un macchinario vincolato (leg extension). Questo perché l’utilizzo del tricipite surale, quadricipite, gluteo, ecc., durante il salto, parte con i piedi appoggiati a terra (funzione del quadricipite) e non da seduto con i piedi staccati come invece avviene alla leg extension. Viceversa, nell’allenamento non prestativo rivolto alla sola estetica, posso anche utilizzare macchine poco fisiologiche (sempre che siano rispettati i canoni di sicurezza e biomeccanica articolare) poiché la priorità non è la prestazione ma la proporzione e la trofia muscolare. Per estetica intendo l’obbiettivo di tutte le persone che vogliono migliorare il proprio aspetto fisico; sia per la vita di tutti i giorni come vedersi più asciutti, tonici, sentirsi a proprio agio in una società dove, l’ immagine è richiesta ed è importante; sia per un livello di gara come competizioni “Bikini “ o “men physique ” dove non si prevedono sul palco prestazioni, ma pose, dove mostrare pregi muscolari, nascondendo eventuali difetti o asimmetrie. In quest’articolo m’ impegnerò a dipanare questa matassa e a trovare le possibili risposte e soluzioni. Il mio concetto di Fitness, condiviso tramite il percorso ISSA, è quello di allenare la funzione al fine di muoverci meglio e renderci più prestativi. Che il fisico risponda o no a canoni estetici potrebbe essere una conseguenza non ricercata dall’inizio. Basti ricordare alcuni atleti di fama mondiale e campioni nella loro disciplina, ben lontani da avere una forma statuaria! Sono semplicemente funzionali al proprio sport pur non avendo fisici “estetici”, come ad esempio Roy Nelson, famoso combattente di MMA, che pur non avendo un fisico statuario, ha affinato doti di resistenza e potenza a prescindere dalla massa grassa evidentemente alta. Lo stesso vale per altri atleti di livello. (foto: Taylor Townsend, Barbora Spotakova, Roy Nelson) In questo caso, loro rappresentano una percentuale di atleti utili per esemplificare questo concetto, ma è chiaro che questo non rappresenta la norma ma l’eccezione! Naturalmente l’optimum sarebbe riuscire a essere prestativi, in salute, e “in forma”. Il nostro compito come PT è salvaguardare sempre la salute seguendo criteri scientifici e fisiologici facendo “le cose per bene” dal punto di vista biomeccanico e posturale. L’allenamento “estetico”, pertanto, sarà rivolto alla perfezione muscolare inteso come lavoro sul muscolo target, senza ricercare il gesto fisiologico utile nel quotidiano, perché l’obiettivo da perseguire è un altro. Ben venga in questo caso, l’uso di macchinari meno fisiologici come leg extension, leg curl o gluteus machine perché, anche se non fondamentali per il gesto funzionale sono utili al miglioramento muscolare distrettuale. Da dove iniziare un allenamento / alimentazione rivolte all’estetica fisica? STORICO: cosa e’ stato fatto fin’ora come allenamento e alimentazione. OSSERVAZIONE ANALITICA “ESTERNA” (sviluppo muscolare / proporzioni / asimmetrie) OSSERVAZIONE ATTRAVERSO ANALISI DI COMPOSIZIONE CORPOREA Bicompartimentale (esterna) e Tricompartimentale (interna). STORICO: La genetica, la scelta degli esercizi,hanno portato a uno sviluppo muscolare proporzionato oppure no? L’alimentazione, ha portato buona massa muscolare, volume, grasso, pelle pulita, giro vita, ritenzione? OSSERVAZONE: L’ osservazione dello sviluppo muscolare e delle proporzioni attraverso lo foto nel tempo oppure la visione del cliente in costume, fronte, retro e lati individuando le priorità di proporzione. COMPOSIZIONE CORPOREA: Per quanto riguarda la bicompartimentale mi avvarrò di misure come circonferenze e pliche storiche, e attraverso l’analisi tricompartimentale di TBW, ICW, ECW, FM, BCM ecc. Esempio: TBW: L’Acqua totale (TBW) riguarda lo stato di idratazione globale e la suddivisione della stessa nei comparti intra (ICW) o extracellulare (ECW) ci fornisce informazioni riguardo a energia cellulare (ICW), e/o ritenzione idrica o infiammazione (ECW). Nel caso di ECW alta: presenza di ritenzione, (infiammazione)? Perché e da quanto tempo? Eccesso di carichi? Scarso riposo? Clock ormonale sballato? Cortisolo? Alimentazione? Idratazione? Tutto? Trovare la causa e non curare l’effetto è il segreto. FAT MASS: Massa grassa: quantità (plicometria e/o bioimpedenza) dov’ è distribuita? Può essere migliorata attraverso alimentazione e allenamento? FAT FREE MASS: Massa magra (FFM = BCM + ECM): qualitativa e quantitativa, corrisponde a un buon metabolismo? Se la FFM è alta ma il metabolismo basale è molto basso, non è una FFM attiva, di conseguenza ci potrebbe essere un sottopeso muscolare o una cattiva nutrizione. La seconda parte dell’osservazione è l’analisi critica alla ricerca dell’armonia delle curve e l’equilibrio/squilibrio tra i vari distretti muscolari. Esempio di osservazione sul piano sagittale: collo /sterno / addome / bacino / quadricipite / tibiale / piede / tricipite surale/ ischio crurali /gluteo/ Curve: cervicale/dorsale/lombare A: Esempio di osservazione posteriore: trapezi / deltoide / braccio / fianco / gluteo / ischio crurali / tricipite surale. B: Esempio di osservazione anteriore: trapezi / deltoide / braccio / petto / addome / fianchi / quadricipite / tibiale/ piede. L’OSSERVAZIONE DETERMINA LA PRIORITÀ! Assai diffusi sono gli squilibri tra parte superiore e inferiore del corpo. Tra le donne la classica forma a “pera” ginoide, il fianco e l’interno coscia pronunciato e in ritenzione oppure un quadricipite molto sviluppato a discapito del gluteo, dalla forma piatta. Negli uomini un maggior sviluppo di braccia rispetto al petto o viceversa e gambe spesso non proporzionate. Per chi fa alzate di potenza, è facile trovare braccia maggiormente sviluppate rispetto al pettorale; probabilmente a causa del blocco inspiratorio, che aiuta ad esprimere potenza, ma può inibire lo sviluppo ipertrofico del pettorale. Dopo aver osservato, bisogna analizzare la natura di eventuali squilibri, strutturali o posturali mediante i test di tensioni muscolari di forza e flessibilità per valutare il corretto reclutamento della muscolatura e per capire se l’errore sta nella scelta di un esercizio (non adeguato alla persona) oppure se si tratta di un problema posturale, sul quale possiamo lavorare per migliorarne la resa. Durante uno Squat per esempio, un lavoro maggiore sul ginocchio rispetto all’anca può inibire lo sviluppo del gluteo. Si è scelto un esercizio sbagliato per creare ipertrofia al gluteo? Oppure potrebbe essere un problema posturale che non consente un buon reclutamento? (es. caviglia o bacino bloccati, bacino in retroversione, ecc). Quando la genetica è buona e la persona è ben alimentata e allenata i risultati, possono essere incredibili. Vediamo qui di seguito la stessa ragazza allenata e ben nutrita e non allenata e con alimentazione non adeguata. L’ultimo passaggio, dopo aver osservato e analizzato, è capire la strategia da adottare. Come un artigiano che lavora la materia grezza, un PT deve saper intuire il risultato finale, dopo aver analizzato accuratamente i dati raccolti. La strategia, spessissimo, parte da una modifica del piano alimentare. Può bastare un riposizionamento degli alimenti oppure un cambio radicale se l’alimentazione è troppo acida e ci troviamo di fronte a forte ritenzione, a uno stato infiammatorio o davanti a un soggetto che non riesce a costruire massa magra. In un caso simile prioritario sarà eliminare lo stato infiammatorio (causa e non effetto della ritenzione), non agire localmente ma risolvere il problema alla fonte. Per esempio cercare di rendere basica l’alimentazione che potrebbe portare a un ulteriore ritenzione. Evitare alimenti acidi come latticini, cereali, cibi molto cotti, fritti, trattati o riscaldati, e soprattutto eliminare i cibi fonte di AGE’s (prodotti finale della glicosilazione avanzata). Possiamo valutare, ad esempio, integrazione con un apporto di sali che mantengano l’equilibrio acido-basico, Omega3 e vitamine del complesso B. Per quanto concerne l’allenamento si cercherà di non stressare la parte con esercizi che prevedano molte ripetizioni, (lavorare sull’acido lattico aumenta la ritenzione). Favorire un lavoro di forza per non infiammare, cominciare a costruire massa magra e stimolare quella esistente potrebbe essere una soluzione. Realizzare un cambiamento fisico importante o preparare un atleta per una competizione, significa lavorare ad un puzzle, dove bisogna incastrare alla perfezione tutti i pezzi, secondo scienze esatte, applicate soggettivamente. Per concludere, siamo fatti di sostanza e d’immagine. Quello che ci spinge a perseguire l’ una, l’altra o entrambe, è il traguardo che ci poniamo; tutto dipende da quello che cerchiamo e da quello che crediamo sia buono per noi; su questo punto tengo a sottolineare l’aspetto fortemente soggettivo della propria visione e percezione. Fondamentale è la scelta della strada che porterà al nostro traguardo, una strada dove non si possono fare scorciatoie e dove i passaggi ,sopra elencati, vanno seguiti e rispettati passo passo, per mantenere la salute psicofisica e conservare il risultato nel tempo. Seguendo la scienza e il ragionamento posso eccellere in qualsiasi percorso io decida di intraprendere. #Atletica #Estetica #Fitness

  • CIBO e CORPO: un rapporto difficile…

    il Personal Trainer ci salverà Capita molto spesso di osservare in palestra una giovanissima ragazza dal peso inconsistente, ostinarsi per ore a camminare su di un tapis roulant . Capita poi di vederla subito dopo in una lezione di gruppo rigorosamente “fat burning” senza che abbia la forza e la voglia di impugnare un manubrio per paura di diventare muscolosa. Le scorciatoie molte volte ricadono nel diuretico nascosto nella bottiglietta d’ acqua o in qualche “pozione detox” con gli occhi sempre rivolti allo specchio alla ricerca di un’ immagine che la compiaccia, un’ immagine irreale distorta, insana. Premesso che sappiamo tutti che il campo è di pertinenza medica ma è anche vero che queste persone frequentano, molto spesso la palestra, perciò, più ne sappiamo e più saremo in grado di gestire la situazione o d’essere d’aiuto. La forma distorta preosegue in ragazzi più o meno maturi rapiti ad osservarsi allo specchio mentre sollevano (spesso a caso) il più alto carico possibile oppure organizzati con amici in acquisti su internet di sedicenti integratori “che ti fanno diventare grosso” per poi postare senza tregua sui social network i pseudo trofei ottenuti a suon di pose e magliette alzate . Infine, ragazzi e ragazze in grave sovrappeso che si sentono alieni e che vorrebbero solo sentirsi invisibili. Pedalano faticosamente sulle bike, a volte dentro k-way o avvolti nella pellicola trasparente sotto la tuta con il mero e unico risultato di sudare di più, rischiando pesanti disidratazioni e andare incontro a frustrazioni. Non credo ci sia Personal Trainer che almeno una volta non si sia imbattuto in scene come queste in palestra. Episodi che stanno diventando quotidianità. In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione soffre di DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare): il 95% sono donne, il restante numero appartiene agli uomini. I DCA rappresentano la prima causa di morte tra i ragazzi/e tra i 13 e i 25 anni. La domanda che ci dobbiamo porre, in nome del fitness in cui tutti noi crediamo è se lo studio, gli aggiornamenti che hanno come obbiettivo la salute è: “possiamo essere d’aiuto alle persone con DCA? ( Disturbi del Comportamento Alimentare) . Un grave sintomo quasi sempre presente è l’alterazione della propria immagine corporea, ovvero la percezione irrealistica del proprio corpo, la quale influenza pericolosamente gli stati d’animo ed i comportamenti quotidiani. Sulla base dei criteri diagnostici sopra tratteggiati si rileva come ciò che accomuna tali disturbi alimentari è la presenza di un’eccessiva valutazione e controllo della forma del proprio corpo e del peso corporeo. In tal senso emerge come, mentre una persona che non soffre di Anoressia o Bulimia valuta se stessa sulla base delle proprie prestazioni percepite in una varietà di ambiti della sua vita quotidiana. Viceversa la persona con disturbo alimentare presenta una valutazione di sé (autostima) centrata principalmente sul suo peso corporeo, sulla forma del suo corpo e sulla propria capacità di controllare questi ultimi. Il costante pensiero fisso sul cibo e sul corpo diventa presto un’ossessione che invade la vita quotidiana della persona, privandola degli interessi, delle attività, delle emozioni piacevoli che provava prima dell’insorgere del disturbo. La componente psicologica è altissima e noi PT non possiamo improvvisarci in quello che non siamo , scadendo anche nel consiglio ansiogeno: “dovresti fare, devi mangiare, ecc”. Non possiamo neppure farci carico, per eccesso di empatia, di problemi che potrebbero turbare la nostra serenità lavorativa. Noi possiamo solo fare il nostro lavoro: ASCOLTARE, INFORMARE, ALLENARE, per promuovere e realizzare il cambiamento che la persone desiderano. Avere un DCA significa vivere con una ossessione : IL CIBO. Pensarlo in ogni momento della giornata, sceglierlo secondo rigorosi dictat affinché sia “pulito”, “dietetico”, ipocalorico, con lo 0.000% di zuccheri   aggiunti, privo di grassi idrogenati , oli vari bio, sodio e glutine free, importante sia PRIVO DI …!!!! All’opposto avremo altri dictat o parole d’ordine come: pompare, crescere, anabolizzare, iperproteico sempre e comunque, no carbo, amminoacidi a caso, proteine pre e post, cibi standardizzati come gli “evergreen” del fitness. Per chi soffre di DCA le parole d’ ordine sono rassicuranti perché chiudono tutto in una realtà falsata, che rappresenta solo una proiezione mentale. Si basano al 90% sul sentito dire, sulle mode dei cibi stagionali o peggio su convinzioni sedimentate in anni di cattiva informazione!!!! L’allenamento, che noi PT sappiamo essere la chiave della salute e della prevenzione, fonte di benessere psicofisico, è strumentalizzato da chi soffre di questa patologia. Nell’anelare a queste immagini vuote ci si sfinisce con l’esercizio smodato e senza senso mettendo a repentaglio la salute dell’organismo con mix di dubbia composizione. Risultato: farsi del male. Come ci sono parole d’ ordine, di chiusura, per fortuna ci sono parole CHIAVE di apertura. Frasi che fanno chiarezza, danno corretta informazione e conferiscono il giusto riconoscimento ai nostri studi. Essere d’aiuto ci consentirà di guadare terreni paludosi e, se saremo artefici di un cambiamento nei nostri clienti, sicuramente avverrà un cambiamento anche in noi stessi. Dobbiamo sposare anima, fisiologia, anatomia, biomeccanica e tecniche di comunicazione alla ricerca delle parole chiave che possano sbloccare la sensibilità verso chi vive un profondo disagio con il proprio corpo e il mondo esterno. Noi PT abbiamo una bellissima responsabilità quella di trattare il CORPO in tutta la sua straordinaria UMANITA’. #Cibo #Fitness #Nutrizione

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