Di Claudio Suardi e Chiara De Nigris
Il grasso corporeo è presente in due forme:
1. IL GRASSO ESSENZIALE (o PRIMARIO)
si trova nel midollo osseo, nel cuore, polmone, milza, reni,
intestino, muscoli e alcune parti del sistema nervoso. È una quota di grasso che i tessuti usano per il proprio
metabolismo, anche se ancora non è chiaro in che misura.
2. IL GRASSO DI DEPOSITO
che ricopre i visceri, come i reni, e fa da ammortizzatore, proteggendoli. Il
grasso di deposito è anche quello sottocutaneo, anch’esso con funzione protettiva e termoregolatrice, dato
che ci protegge dagli urti così come dal freddo.
La percentuale di grasso corporeo è sostanzialmente simile nei due sessi (sulla base dell’uomo e della donna
di riferimento di Behnke): 12% nei maschi e 15% nelle femmine, mentre la percentuale di grasso primario (o
essenziale) è quattro volte superiore nelle donne rispetto all’uomo.
La donna è mediamente più “grassa” dell’uomo perché tutto è riconducibile al ciclo riproduttivo. Il grasso
rappresenta una grande riserva di energia dato che, a parità di peso, fornisce più del doppio delle calorie
degli zuccheri o delle proteine. In caso di carestia, la gravidanza avrebbe possibilità di compiersi solo se in
presenza di riserve di combustibile altamente energetico, cioè il famigerato grasso. L’imperativo biologico di
portare avanti una gravidanza con successo ha dotato la donna di un 12% in più di grasso dell’uomo. E’ un
grasso distribuito nella regione gluteo-femorale, classificato come “essenziale” e dunque difficilmente
attaccabile dagli enzimi e dagli ormoni lipolitici (cioè “bruciagrasso”), anzi, è sensibile agli ormoni liposintetici
(gli estrogeni, molto attivi nel fare accumulare grasso tra cosce e glutei). Perché parliamo di carestia quando
la nostra società garantisce abbondanza di cibo? Perché siamo figli di progenitori che si sono selezionati
fronteggiando antichi cicli alimentari ad abbondanza intermittente: c’erano periodi di abbondanza, sì, ma
seguivano anche lunghi periodi di carestia. E dunque risultava utile una programmazione biologica che
permettesse, soprattutto alle donne in gravidanza, di sopravvivere in questi ecosistemi alimentari instabili.
Il tessuto adiposo sottocutaneo accumulato nelle regioni inferiori è tendenzialmente maggiore nelle donne
rispetto agli uomini con la stessa massa grassa, mentre non sono state osservate differenze nelle dimensioni
degli adipociti nel grasso sottocutaneo addominale. I maggiori livelli di grasso sottocutaneo nelle donne
rispetto agli uomini può essere attribuito agli ormoni sessuali femminili (come l’estradiolo) e ad un aumento
del numero degli adipociti. Nonostante le limitate evidenze scientifiche, è stato notato che nelle donne il
deposito degli acidi grassi alimentari derivanti dal pasto aumenta in proporzione alla massa del tessuto
adiposo sottocutaneo nelle zone inferiori, mentre non è stata osservata alcuna associazione tra il relativo
deposito lipidico nel tessuto adiposo sottocutaneo addominale e l’adiposità. Con l’incremento dell’adiposità, e
mantenendo la capacità di depositare acidi grassi nel tessuto adiposo nella zona gluteo-femorale ma non nei
depositi addominali, si promuove nelle donne lo sviluppo del fenotipo costituzionale ginoide, caratterizzato
appunto dalla predisposizione all’accumulo nelle zone inferiori. Al contrario, gli uomini presentano
tendenzialmente una maggiore capacità di assimilazione di acidi grassi da parte del tessuto sottocutaneo
addominale rispetto alle zone gluteo-femorali.
La lipoproteina lipasi (LPL) è l’enzima che, una volta attivato, è responsabile del deposito di trigliceridi nel
tessuto adiposo. Le differenze specifiche dell’attività della LPL legate al sesso determinano la predisposizione
all’accumulo lipidico in diverse zone degli uomini e delle donne. Nelle donne, l’attività della LPL del tessuto
adiposo sottocutaneo nella zona gluteo-femorale e addominale e del tessuto adiposo viscerale, è stata
positivamente correlata con le dimensioni delle cellule adipose in tali aree. In maniera simile negli uomini
l’attività della LPL incrementa nel tessuto adiposo sottocutaneo dell’addome e nel grasso viscerale. In
generale, è stata osservata nelle donne una maggiore attività della LPL nel tessuto adiposo sottocutaneo
rispetto al viscerale che negli uomini. Quindi gli adipociti del grasso sottocutaneo sono di maggiori
dimensioni rispetto al grasso viscerale delle donne. Mentre negli uomini, l’attività della LPL è risultata essere
maggiore nel tessuto adiposo viscerale rispetto a quello sottocutaneo. In relazione all’attività della LPL e
all’accumulo di trigliceridi, è stato suggerito che il flusso ematico del tessuto adiposo nel periodo post-
prandiale sia un fattore determinante nelle differenze legate al sesso e ai depositi nell’accumulo adiposo.
Nelle donne, a seguito del pasto l’aumento del flusso ematico viene osservato nel tessuto adiposo delle
regioni inferiori, ma ciò non succede negli uomini. In linea con queste conclusioni, la sintesi dei trigliceridi dal
glucosio nelle donne è minore nel grasso omentale (viscerale) rispetto al grasso sottocutaneo addominale,
mentre negli uomini è simile in entrambi i comparti.
Le donne caratterizzate da obesità periferica (da cui la forma “a pera” per le spalle spioventi e la svasatura in
zona gluteo femorale) col grasso distribuito per via sottocutanea in aree gluteo-femorale e parte inferiore
dell’addome sono a basso rischio di complicazioni metaboliche.
Al contrario, gli uomini con obesità sterno-addominale (che conferisce la tipica forma “a mela”) accumulano
grasso sottocutaneo addominale e viscerale e sono più inclini a problemi metabolici e cardiovascolari, in
particolare quando i depositi di grasso viscerale sono abbondanti (102 cm di circonferenza addominale, ma
già a 94 cm entriamo “di diritto” in zona rischio).
Se dal punto di vista salutistico il destino del grasso viscerale è fatale per l’uomo, quanto al dimagrimento la
situazione si ribalta: il grasso gluteo-femorale femminile è molto resistente agli ormoni “brucia grasso”
(adrenalina, noradrenalina…) e ben difeso da ormoni ed enzimi accumula-grasso (estrogeni, LPL). Gli
adipociti di questa zona sono piccoli, ma stabili. Al contrario gli adipociti viscerali sono più grandi, ma più
facili da “consumare” (sensibili alla lipolisi, diremmo tecnicamente) perché più esposti all’azione degli ormoni
“brucia grassi” come l’adrenalina e la noradrenalina.
Se durante l’infanzia non assistiamo a particolari differenze tra maschi e femmine nella distribuzione del
grasso, minima a livello viscerale e maggiore a livello sottocutaneo, con la pubertà si cominciano a marcare
le differenze che resteranno stabili nell’età adulta. Maggiore grasso viscerale nel maschio e maggiore grasso
sottocutaneo nella femmina. Tuttavia, la donna, verso i 30 anni, comincia una lenta inversione di tendenza
per cui si riduce il grasso sottocutaneo a favore di quello viscerale. Tra i 40 e i 60 anni le donne registrano
uno spostamento più deciso del grasso verso la zona viscerale anche a causa del cambiamento del profilo
ormonale legato alla menopausa. L’ingrassamento nella donna avviene già nel periodo perimenopausale,
cioè nei 10 anni che precedono la menopausa vera e propria. In ogni caso, il trend del grasso, sia nell’uomo
che nella donna, è rivolto all’aumento di volume, anche se a ritmo variabile rispetto all’età e con un netto
sbilanciamento a favore del grasso viscerale. Il grasso viscerale è correlato ad una maggiore incidenza di
malattie cardiovascolari (diabete, infarto, ictus, sindrome metabolica) in entrambi i sessi, tuttavia nella donna
con grasso viscerale tale rischio risulta più pronunciato che in un uomo con lo stesso problema. Ricordiamo
che “le malattie cardiovascolari (principalmente malattia coronarica e ictus) sono responsabili del 54% di tutti
i decessi delle donne in Europa (e del 43% di tutti i decessi degli uomini), e uccidono più di tutti i tumori
insieme” (www.cardiometabolica.org).
E’ assodato che il grasso viscerale (VAT= Visceral Adipose Tissue), tipicamente maschile corrisponde a:
Trigliceridi alti.
Colesterolo cattivo (LDL) alto.
Pressione alta.
Glicemia alta a digiuno.
Resistenza insulinica.
Produzione di molecole infiammatorie (soprattutto IL-6, TNFalfa).
A differenza del grasso sottocutaneo, il grasso viscerale si comporta come un vivace organo endocrino che
rilascia ormoni e sostanze a carattere infiammatorio che conducono allo sviluppo di diabete, ipertensione e
insulino-resistenza. Tradotto: il grasso viscerale non è un buon viatico per la salute del cuore perché
promuove l’infiammazione cronica, anticamera dell’insulino-resistenza. (J Am Soc Nephrol., 2004).
Il grasso totale, invece, abbiamo visto che è sempre maggiore nelle femmine.
Il tessuto adiposo viscerale detto anche grasso viscerale o Grasso intra-addominale, all’inglese Visceral
adipose tissue (VAT) o Visceral fat, rappresenta quella parte del tessuto adiposo bianco (WAT) situata tra gli
organi interni. Il tessuto adiposo viscerale (VAT) è quella parte del tessuto adiposo localizzata nello spazio tra
gli organi interni come fegato, intestino e reni. Esso può essere suddiviso in ulteriori componenti:
il grasso omentale e mesenterico forma il grasso intraperitoneale o portale
il grasso extraperitoneale
il grasso sottocutaneo addominale (in realtà è dissociato dal grasso viscerale)
Abbiamo compreso che è il grasso viscerale, tipicamente maschile, e non quello sottocutaneo a creare
possibili problemi di salute riducendo statisticamente l’aspettativa di vita. A parità di grasso, averlo tutto sulla
pancia (anzi, dentro la pancia) anziché essere distribuito in modo omogeneo si traduce in un aumento dei
rischi per la salute. Il grasso addominale è predittivo di possibili problemi cardiovascolari, anche se c’è da
aggiungere che è un grasso più facilmente attaccabile dall’allenamento e dall’alimentazione. Nei giovani
adulti circa la metà del grasso corporeo è sottocutaneo, il resto è grasso profondo o viscerale e con
l’invecchiamento aumenta fisiologicamente rispetto a quello sottocutaneo. Il grasso viscerale è strettamente
correlato all’aumento di produzione di interleuchina 6 (IL6), molecola infiammatoria a sua volta legata a
problemi come diabete e infarto (Istituto Superiore di Sanità Italiana e Americana; “Diabets”).
Il 40% delle persone in apparenza magre presentano un accumulo di grasso viscerale. Secondo uno studio
pubblicato su “Lancet”, condotto su 168.159 pazienti, un’elevata obesità addominale al momento dell’infarto
è presente nel 46,5% degli uomini e nel 45,6% delle donne. La semplice presenza di obesità addominale
aumenta di oltre il doppio il rischio di infarto nella popolazione in esame rispetto a quella di controllo.
L’obesità addominale da sola appare responsabile di quasi un infarto su cinque in entrambi i sessi.
Dall’altra parte il grasso gluteo-femorale, quello tipicamente femminile, espone meno a possibili problemi
cardiovascolari, anche se è un grasso scarsamente attaccabile e ben difeso dalla barriera enzimatica e
ormonale. Ad esempio, l’enzima deputato ad accumulare grassi, l’AT-LPL o lipasi-lipoproteica ha un’attività
sviluppata soprattutto nella zona gluteo-femorale, ed è regolata da estrogeni e progesterone, ormoni
tipicamente femminili (Ltchell & Boberg, 1978).
Il post-menopausa rappresenta il periodo di maggior predisposizione per l’aumento del grasso viscerale. In
tal caso il rischio diventa simile o uguale a quello del maschio. Il tessuto adiposo viscerale sembra essere il
tipo di grasso più pericoloso per la salute perché più connesso con il rischio cardiovascolare,
l’insulinoresistenza, il diabete di tipo 2, varie complicanze metaboliche e l’arteriosclerosi. Sebbene dissociato
dal grasso viscerale, anche il grasso sottocutaneo addominale è connesso con il grasso viscerale tramite
l’esposizione a patologie come l’insulinoresistenza. Sebbene il grasso viscerale sia il sito di accumulo lipidico
maggiormente associato alle malattie metaboliche, di recente sono state segnalate anche delle correlazioni
tra il grasso viscerale e il grasso epatico, ed è stato osservato che un aumento del grasso epatico sia
associato alle stesse anomalie metaboliche legate ad un aumento del grasso viscerale. Di conseguenza, il
grasso sottocutaneo addominale e il grasso intraepatico sono connessi entrambi con le stesse problematiche
legate al grasso viscerale.
QUALE GRASSO SI PERDE PIÙ FACILMENTE?
Le catecolamine sono prodotte in particolari condizioni come l’attività fisica, l’ipoglicemia, o l’esposizione al
freddo. Non a caso la perdita di grasso indotta dall’esercizio fisico è maggiore nel tessuto adiposo viscerale e
sottocutaneo a livello addominale (SCAT), rispetto ad altre aree come quella femorale. Per la precisione è
stato riscontrato che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover, i depositi di grasso
sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso
intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente
più lento. Infatti anche le cellule adipose sottocutanee a livello addominale sono più sensibili all’effetto
lipolitico delle catecolammine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nella regione della coscia.
Quindi la lipolisi degli adipociti a livello omentale (a livello profondo) è più sensibile alla stimolazione β-
adrenergica se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, mentre sono meno sensibili alla
soppressione della lipolisi da parte dell’insulina in entrambi i sessi. Elevati livelli di insulina sopprimono la
lipolisi per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto alle regioni corporee inferiori.
Differenze regionali sono state ritrovate anche nella captazione di glucosio basale o indotta dall’insulina. La
captazione di glucosio è maggiore nel grasso omentale rispetto a quello sottocutaneo per via di una
maggiore distribuzione dei trasportatori di glucosio GLUT-4. Tuttavia, mentre gli adipociti viscerali sono
resistenti all’effetto anti-lipolitico dell’insulina se comparati agli adipociti addominali sottocutanei, non sono
state osservate differenze nella captazione di glucosio legate alla sensibilità insulinica. I risultati suggeriscono
che l’azione dell’insulina può essere diversamente alterata a seconda delle zone di accumulo adiposo negli
individui con obesità viscerale, e sarebbero poco legati alle differenze regionali nelle dimensioni degli
adipociti. Negli uomini e donne sani, circa il 5-10% degli acidi grassi liberi (FFA) immessi nella vena porta
originano dalla lipolisi del grasso viscerale. Esperimenti in vivo dimostrano che anche se la lipolisi del tessuto
adiposo viscerale contribuisce di norma a rilasciare una ridotta proporzione degli FFA totali in circolo, il
contributo dei depositi viscerali aumenta fino al 50% nel rilascio di FFA in caso di accumulo di grasso
viscerale. Se è presente un eccesso di grasso viscerale e si tende a rilasciare grasso nel sangue
costantemente, il metabolismo si orienterà più su di essi. Lasciando da parte gli zuccheri. Si verranno
inevitabilmente a creare dei picchi di glicemia cronica con un più probabile insorgere o peggiorare
dell’insulinoresistenza. Il rilascio di acidi grassi durante la lipolisi sarebbe positivo se questi venissero utilizzati
per il dispendio energetico. In caso contrario diventa un problema e l’insulinoresistenza ringrazia. Dal
momento che l’eccesso di grasso viscerale è positivamente correlato con un aumento della lipolisi e
dell’insulinoresistenza, il rilascio di FFA da questo tessuto altamente sensibile viene incrementato in
particolari condizioni. La lipolisi aumenta in proporzione all’accumulo di grasso viscerale, quindi per gli uomini
e le donne con una predisposizione all’accumulo in questa area, tale tessuto contribuisce al rilascio di circa il
50% degli FFA nella vena porta. In base a queste conclusioni, il grasso viscerale è connesso con alti livelli di
VLDL nel periodo post-prandiale nei soggetti insulinoresistenti. Di conseguenza l’aumento del flusso di FFA
nella vena porta può contribuire ad alterare la funzione epatica (le VLDL sono prodotte dal fegato).
I trigliceridi intramuscolari, o intramiocellulari, o grasso intramuscolare, talvolta denominati con l’acronimo
IMTG, dall’inglese Intra Muscular Tri-Glycerides, rappresentano i depositi di lipidi (trigliceridi) situati
all’interno del muscolo scheletrico. Questa componente costituisce approssimativamente circa il 10-15% del
volume della cellula, ed è maggiormente presente nelle fibre rosse (o di tipo 1), naturalmente provviste di
maggiori depositi per il loro metabolismo in prevalenza aerobico. Gli IMTG non sono da confondere con i
trigliceridi extramuscolari, extracellulari, o intermuscolari, cioè i depositi posti tra le fibre muscolari, e non
all’interno dei miociti. La mobilitazione e/o ossidazione degli IMTG durante l’esercizio fisico sembrano essere
in gran parte determinate dal tipo, dall’intensità, e dalla durata dell’esercizio, dalla composizione di
macronutrienti nella dieta, dallo stato di allenamento, dal sesso, e dall’età. Inoltre, evidenze indirette
suggeriscono che la capacità di mobilitare e/o ossidare IMTG è sostanzialmente compromessa nell’obesità
e/o nello stato di diabete mellito di tipo 2.
Il grasso corporeo essenziale o primario rappresenta nell’uomo quella parte del gasso corporeo necessario
per le normali funzioni fisiologiche del corpo. Queste riserve sono le componenti minori della totale massa
grassa (Fat mass, FM), assieme alle riserve lipidiche. Contrariamente a quanto si possa comunemente
pensare, il grasso primario viene incluso anche all’interno della massa magra (Lean Body Mass, LBM) per la
sua essenziale funzione fisiologica e per il fatto di non essere intaccato, in condizioni normali, dai processi di
dimagrimento. Mentre questo viene escluso nel determinare la massa magra alipidica (Fat Free Mass, FFM),
che rappresenta ciò che resta dell’organismo dalla completa privazione di tutta la componente lipidica.
Saperne di più aiuta a differenziare il nostro intervento come Personal Trainer e indirizzare allenamento e
alimentazione verso il risultato.
Comments