Allenamento per ipertrofia

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Di Claudio Suardi & Chiara De Nigris

L’obiettivo dell’allenamento per l’ipertrofia è di aumentare la massa muscolare e/o di lavorare sui punti carenti per creare giuste proporzioni tra i vari gruppi muscolari. La durata di questa fase può essere variata secondo gli obiettivi, l’anzianità d’allenamento, il livello soggettivo, ma soprattutto il risultato ottenuto. Per massimizzare l’allenamento è possibile eseguire due o più cicli concernenti l’aumento massa, sempre però variando l’intensità utilizzando fasi leggere, medie o pesanti. Se l’allenamento pesante è mantenuto per molto tempo, vi potrebbe essere diminuzione delle performance dovuto a superallenamento o aumentato rischio articolare. 

Dire qual è il sistema migliore è in sostanza impossibile vista la soggettività. Non si tratta di scegliere l’allenamento in base al nome ma capire se le scienze esatte e il nostro cliente sono compatibili con quel metodo e non viceversa. Importante è la periodizzazione dell’allenamento e il controllo dello stesso attraverso test specifici. I criteri di scelta vanno ricercati nel principio delle differenze individuali, in altre parole dal fatto che, essendo tutti geneticamente diversi, non rispondiamo allo stesso modo allo stimolo dato dall’allenamento. Solo il contatto continuo con il cliente (ascoltando e capendo le sue sensazioni, le capacità di recupero, le risposte) e un feedback efficace ci potrà fare scegliere un metodo piuttosto che un altro. Valgono perciò i principi generali sulla programmazione adattandoli soggettivamente. Vi sono poi molti pareri personali più che “metodi” riconosciuti. I pareri sono frutto del “secondo me”, i metodi applicazioni standardizzate. I “padroni del metodo” sono limitati e dotati di scarse capacità. Un buon PT conosce le scienze esatte e le applica. Qual è il miglior metodo? Quello che funziona e che si sposa al cliente! Solo testando saremo in grado di capire se l’allenamento e l’alimentazione funzionano oppure no. 

L’allenamento per l’ipertrofia ha lo scopo di provocare cambi biochimici all’interno del muscolo necessari per lo sviluppo della massa muscolare. Sfortunatamente per molta gente l’aumento del volume muscolare è limitato alla durata dell’allenamento o poco più e spesso è dovuto a un ristagno di fluidi all’interno dei muscoli (ipertrofia sarcoplasmatica). In altre parole, “l’aumento muscolare” è dovuto a uno spostamento dei fluidi corporei all’interno delle cellule sotto sforzo invece che a un reale aumento del volume delle fibre. Occorre lavorare all’interno  del range stabilito, esempio 8/12, se maggiore peso troppo leggero, se inferiore peso eccessivo. Il carico iniziale dovrebbe rispettare la tabella dove, secondo che vi siano movimenti pluriarticolari piuttosto che monoarticolari, uomo o donna, peso corporeo, macchine o pesi liberi.

DI SEGUITO UN ESEMPIO CHE RIGUARDA IL PESO DA USARE PER IL PRINCIPIANTE DIVISO PER SESSO, ESERCIZI MULTIARTICOLARI, MONARTICOLARI, MACCHINE E PESI LIBERI.

PESO DA USARE IN PROPORZIONE AL PESO CORPOREO NELLA FASE INIZIALE 

MA = MONOARTICOLARE

PA = PLURIARTICOLARE

Il peso in percentuale riferito riguarda il totale utilizzato.

Esempio: Uomo (70 Kg), 

Distensioni manubri pettorali (PA) 25-35% del Peso Corporeo = 8-12 Kg per braccio

Chest press (PA); 30-50% del Peso (70Kg) = 21-35 Kg totali.

Esempio: 55 Kg,

Distensioni manubri pettorali (MA) 20-30% del Peso Corporeo = 5-8 Kg per braccio

Chest press (PA) = 25-40% del Peso (70Kg) = 14-22 Kg totali. 

UOMOPARTE ALTAPARTE BASSA 
 Riscaldamento1° set Riscaldamento1° set 
Pesi liberi (MA)15-20%25-35%30-50%50-70%
Pesi liberi (PA)10-20%30-40%50-70%100-120%
Macchine (MA)15-20%25-30%20-30%30-60%
Macchine (PA)20-25%30-50%50-60%100-150%
DONNAPARTE ALTAPARTE BASSA 
 Riscaldamento1° set Riscaldamento1° set 
Pesi liberi (MA)5-10%10-12%20-30%40-50%
Pesi liberi (PA)15-20%20-30%40-50%70-100%
Macchine (MA)10-15%15-25%15-20%30-50%
Macchine (PA)20-25%25-40%10-50%80-100%

L’ipertrofia muscolare rappresenta l’incremento di volume delle fibre contrattili che porta all’aumento della massa muscolare che, grazie ai sovraccarichi, crea delle lesioni muscolari che, se genetica, recupero, ormoni e alimentazione sono stati combinati nel modo giusto, porteranno il muscolo a incrementare il suo diametro. L’ipertrofia muscolare coinvolge tutte le strutture subcellulari ma agisce in particolare sulle strutture contrattili. Il carico produce microlesioni nel tessuto e in particolare nella fase eccentrica del movimento. L’organismo “in fisiologia” risponde ricostruendo il tessuto danneggiato depositando maggiori quantità di materiale proteico attraverso la produzione di nuove miofibrille di diametro maggiore e la produzione di nuovi sarcomeri. Le cellule muscolari a questo punto incrementano i depositi di Creatinfosfato CP, Adenosintrifosfato ATP e Glicogeno attraverso modificazioni che portano notevoli vantaggi nell’esecuzione di sforzi brevi ma intensi, tipici dell’attività anaerobica. Un buon lavoro rivolto all’ipertrofia passa attraverso una tensione meccanica, data dal carico utilizzato e dal tempo di tensione utile a risposte cellulari e molecolari nelle miofibrille e nelle cellule satelliti. Il carico e il tempo di tensione devono essere adeguati. W. Kraemer ha definito questo metodo come “impegno ripetuto submassimale” utile alla degradazione delle proteine. Questo grazie a due fattori: stimolo meccanico e tempo di tensione (TT). Il tempo di tensione “ideale” (durata del SET) dovrebbe essere tra 30”-40” e 70”. Se il carico è troppo alto, il tempo di tensione (esecuzione di un set) sarà troppo breve (inferiore ai 30” di tensione continua). Se il carico è troppo basso, il tempo di tensione sarà troppo lungo (superiore ai 70” indicativi). Kraemer consiglia l’utilizzo di carichi compresi tra 6-8 e 10-12 con tempo d’esecuzione di ogni ripetizione tra 5” e 6” (metodo dell’impegno ripetuto submassimale) con recuperi incompleti ma che non limitino il set successivo. Il grado di tensione meccanica (quantità di carico) e del tempo di tensione TT (durata del carico applicato) creerà una corretta combinazione di queste variabili (carico e durata) che massimizzeranno il reclutamento delle unità motorie. A queste due variabili va aggiunto lo stress metabolico ottenuto attraverso la produzione di acido lattico. L’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare momentaneamente il pH al quale è associato un aumento del GH. 

L’adeguato ed elevato stimolo meccanico con stress in allungamento deve portare alla produzione di ”fattore di crescita miogeno” locale a livello dei muscoli sollecitati con riparazione dei microtraumi da parte delle cellule satelliti (ipertrofia). L’insorgenza del danno muscolare crea una reazione infiammatoria che porta alla produzione di miochine responsabili del rilascio di fattori di crescita che regolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule satelliti. Secondo diversi studiosi, l’aumento della sezione trasversa della fibra avviene dopo 10-14 settimane di allenamento continuo. L’allenamento iniziale porterà a un aumento di forza quasi esclusivamente per adattamento neurologico (Bosco, Kraemer e altri). L’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare il pH al quale è associato un aumento del GH.  Avvengono inoltre delle micro lesioni sulla membrana che stimolano dei processi ormonali tramite i quali occorre la sintesi proteica. Altro fattore importante è la deplezione di glicogeno che in fase di recupero è reintegrato con una supercompensazione a livello di ritenzione dello stesso. l processo che porta all’ipertrofia muscolare è multifattoriale. Si è visto, infatti che la deplezione dei fosfati favorisce la proliferazione di poliribosomi, sedi di sintesi proteica, che l’alta concentrazione di acido lattico produce delle microlesioni a livello della membrana cellulare che portano alla crescita attraverso ricostruzione e che i movimenti lenti, particolarmente nella fase eccentrica stimolino il rilascio di fattori di crescita insulino-simili IGF1 e IGF2 che sono i principali responsabili dello sviluppo di cellule embrionali da quelle satelliti. La sequenza; tensione / danno / stress / recupero / alimentazione, sono i fattori che condizionano lo sviluppo muscolare. La variazione del pH nel citoplasma e nell’ambiente extracellulare è associata a molte condizioni fisiologiche come, ad esempio, l’esercizio intenso. Questo cambiamento influisce sulla sintesi proteica, controllate anche dal mTORC1. Un’elevata attività mTORC1 è stata osservata a valori fisiologici di pH 7.2 – 7.4. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. In chimica, acidità significa proprietà di una sostanza di mandare in soluzione ioni d’idrogeno H+, (idrogenioni) e si misura con il pH (potenziale Hidrogenium). Il pH è la misura di acidità di un liquido, i cui valori vanno da 0 a 14. Da zero a 6.9 si ha una condizione acida, sette è neutra, oltre abbiamo una condizione alcalina. I fluidi entrano ed escono da una cellula con una carica elettrica perché i nutrienti sono convertiti in elettricità, senza la quale il cervello non potrebbe comunicare con gli altri organi. La carica elettrica è favorita da alcuni nutrienti minerali. Se questi sono assenti nei liquidi, il corpo li prende dalle riserve, impoverendo anche la massa ossea. Il sangue umano ha pH, a livello arterioso, compreso tra 7,38 e 7,42. Il sangue non è perfettamente neutro ma leggermente alcalino, poiché il suo pH è di poco superiore al sette. I processi metabolici che avvengono all’interno del corpo portano a continue variazioni del pH in un susseguirsi di apporto-eliminazione di “acidi” e “basi” che determinano modifiche nella concentrazione dello ione idrogeno (H+) con conseguente variazione del pH dell’organismo che deve far fronte a queste variazioni e mantenere il pH fisiologico (pH 7.38-7.42). Se l’ambiente in cui vivono le cellule diventa molto acido, tale acidità penetrerà all’interno delle cellule, alterando il pH del nucleo e creando i presupposti per quei fenomeni che sono comunemente chiamati “malattie da degenerazione cellulare”. Come detto in precedenza, l’ambiente extracellulare (fluidi corporei) svolge l’importante compito di mantenere il pH rigorosamente entro i limiti fisiologici. Minime variazioni di H+ intra ed extracellulari hanno la capacità di modificare la carica caratteristica delle proteine con conseguenti modificazioni della struttura e della funzione. Lo stretto controllo nel mantenimento della H+ costante nei fluidi extracellulari è il risultato di una sinergia di meccanismi regolatori in cui sono coinvolti i sistemi  di controllo propri nel sistema ematico e regolazione a livello renale, intestinale e polmonare. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. 

A livello cellulare, nell’ipertrofia muscolare, le proteine ​​contrattili aumentano di dimensioni e di numero. Avviene anche un aumento nel liquido (sarcoplasma), e il tessuto connettivo non contrattile si diffonde all’interno del muscolo creando ipertrofia sarcoplasmatica non funzionale e non sarcomerica funzionale. L’ipertrofia muscolare è un processo multidimensionale, con numerosi fattori coinvolti. Si tratta di una complessa risposta di segnali cellulari tra le cellule satelliti, il sistema immunitario, i fattori di crescita e gli ormoni, con le singole fibre muscolari di ciascun muscolo. Proteine ​​segnale chiamate citochine, provenienti dal sistema immunitario, interagiscono con i recettori specializzati sui muscoli per promuovere la crescita del tessuto. Alcuni ormoni anabolici (che promuovono la crescita muscolare), includono l’IGF1, il testosterone e l’ormone della crescita (GH) che giocano un ruolo primario nel promuovere l’ipertrofia. Ci sono molteplici meccanismi che sono responsabili dello stimolo della crescita muscolare e, probabilmente, ognuno di questi meccanismi può essere stimolato mediante metodi di allenamento diversi. Questi meccanismi sono: aumento della tensione muscolare o sollecitazioni meccaniche sul tessuto muscolare, deplezione di substrati energetici intramuscolari (fosfati, glicogeno) dovuta alle esigenze metaboliche; sollecitazioni meccaniche e metaboliche che portano a danni strutturali (micro-traumi), segnalazioni dallo stress meccanico sulle fibre muscolari, risposta ormonale (testosterone, GH, MGF, IGF-1, cortisolo), e risposta infiammatoria; sintesi proteica che porta all’ipertrofia muscolare.

Durante le prime settimane d’allenamento vi è un miglioramento in termine di forza non corrispondente all’aumento della sezione trasversa del muscolo. Cambia la qualità dei filamenti di miosina ma non vi sono quantità sufficienti di proteine nelle cellule per creare aumenti in misura delle fibre muscolari stesse. Entro 8-12 settimane d’allenamento aumenta anche il volume in ragione del fatto che le proteine che compongono le miofibrille cominciano a unirsi alle fibre muscolari. I miglioramenti avvenuti nelle prime settimane d’allenamento sulla forza in persone non allenate sono quantificati fino al 40%. Una persona non allenata migliorerà a prescindere dall’allenamento proposto, almeno all’inizio ma, se non vi è periodizzazione, questi miglioramenti cesseranno in breve. L’obiettivo di un allenamento sulla forza all’interno di un macrociclo è di creare ipertrofia della sezione trasversa del muscolo e condizionare al reclutamento del numero massimo possibile di fibre muscolari oltre che aumentare la sintesi proteica (grande ruolo dell’alimentazione). Molte volte, miglioramenti anche del 50% sono solo imputabili a una maggior coordinazione neuromuscolare (s’impara il gesto). Il risultato deve essere, ad ogni modo, sempre misurabile. O attraverso il carico massimale (1RM) o, ancora, vedendo cosa avviene in termine di cambio della composizione corporea.

Questo ci dirà se l’allenamento proposto produce reali miglioramenti, se ci stiamo sottoallenando o se rischiamo il sovrallenamento potendo così intervenire immediatamente anche con cambi d’alimentazione e integrazioni mirate e non approssimative. Pseudo miglioramenti o peggioramenti non saranno empirici ma provati e documentati.

Questa fase prevede allenamenti con carichi attorno all’80-95% di 1 RM e alla massima velocità al fine di reclutare il maggior numero possibile di fibre veloci (FT).

Vi saranno benefici attraverso l’aumento dell’attivazione delle unità motorie (reclutando il maggior numero di fibre veloci) e della capacità di sincronizzazione e coordinazione dei gruppi muscolari. Più aumenterà la capacità coordinativa e di sincronismo tra i muscoli più le fibre veloci (FT) diventeranno efficienti. Aumenteranno sia il diametro degli elementi contrattili del muscolo sia i livelli di testosterone in modo naturale. 

Il guadagno sarà più sulla forza che sull’ipertrofia e questo permetterà nei mesocicli successivi di utilizzare più carico. Aumenti di volume saranno possibili quasi esclusivamente per le persone che si avvicinano per la prima volta a questo sistema. 

Allenarsi in velocità con carichi alti permette di attivare fino all’85% delle fibre veloci (FT). Il rimanente 15% sono una riserva latente difficilmente utilizzabile (se non in casi d’estrema necessità) attraverso l’allenamento. Se avvenissero situazioni di mancanza di miglioramenti di forza nel tempo, è naturalmente possibile variare questa fase introducendo altri metodi (vedi capitolo riguardante i sistemi d’allenamento).

FORZA-IPERTROFIA – ALIMENTAZIONE

Vi sono però alcuni soggetti che, nonostante tutti gli sforzi, non riescono a migliorare in termine di ipertrofia muscolare. Il soggetto “non-responder“  ha scarsa risposta allo stimolo riguardo al protocollo di allenamento utilizzato nello studio scientifico di riferimento ma non significa che non risponda a stimoli diversi. Sono solitamente soggetti stressati, in ritenzione, dal sonno disturbato e con alimentazione inadeguata. I fattori di crescita nei soggetti “responder” associati all’ipertrofia aumentano in misura maggiore nella fase post allenamento in quanto facilitati nella riparazione muscolare attraverso mionuclei “predisposti geneticamente” oltre che avere una risposta migliore all’infiammazione post allenamento. Nei soggetti “NON RESPONDER” vi è una risposta infiammatoria amplificata nel post allenamento.

I segnali pro-infiammatori post allenamento incrementano in tutti i soggetti in modo naturale, ma non nella stessa misura. Soggetti con difficoltà di crescita muscolare hanno marker proinfiammatori maggiori a sia a fine allenamento sia nel tempo, come
CPK (CREATINFOSFOCHINASI) – LDH (LATTATO DEIDROGENASI), AST – ALT (Atleti).

L’allenamento di resistenza tipico del body- building, determinando danno muscoloscheletrico, fa elevare ALT e AST che si trovano anche nei muscoli e che, pertanto, facilmente possono essere confusi come segno di stress o malattia epatica se non si considerano anche altri valori che danno un quadro più preciso sul substrato tissutale dal quale deriva l’innalzamento enzimatico osservato. Pertanto, diverso può essere il significato dell’elevazione dei valori di ALT e AST, a seconda che i soggetti osservati siano atleti (sottoposti a particolari regimi d’allenamento inducenti microlesioni muscolari, come nel caso dei culturisti) o sedentari. Il danno muscolare iniziale (eccessivo) inibisce l’ipertrofia facendo si che i muscoli riescono a riparare (lentamente) ma non a crescere. Ci vogliono molte settimane perché avvengano una serie di adattamenti che portano a una parziale protezione dei muscoli dai danni (repeated bout effect), SENZA AUMENTARE VOLUME E INTENSITA’ dopo di che i muscoli cominceranno a rispondere meglio allo stimolo. DOMS E REPEATED BOUT EFFECT (RBE) (effetto della ripetizione a un carico), rappresenta la capacità del muscolo di adattarsi agli stimoli meccanici rappresentati dalla contrazione muscolare SOPRATTUTTO IN ECCENTRICA riducendo la risposta dei DOMS. RBE indica che ripetendo una sessione di allenamento con i pesi, la risposta del DOMS, e quindi dell’indolenzimento percepito, è più attenuata rispetto alla prima.
L’allenamento concentrico al contrario non è in grado di causare un simile livello di RBE. 

Più sono alla ricerca dello stimolo allenante e più sono predisposti a overtraining con alterazione del profilo endocrino (RIDUZIONE ORMONI ANABOLICI), aumento della produzione di catecolamine (INSONNIA). Modifiche psicologiche (FRUSTRAZIONE), alterazioni ematologiche, ferro, massa muscolare, equilibrio idrico e elettroliti (INFIAMMAZIONE). Oltre a  riduzione della concentrazione plasmatica di ormoni ipofisari (–GH), variazioni di aminoacidi con effetti sulla sintesi della serotonina (NERVOSISMO) e aumento degli infortuni. Vi è poi una soppressione immunitaria e aumento di malattie (l’attività delle cellule natural killer, la funzione dei neutrofili, risposta proliferativa dei linfociti, e altre misure di immunità).

SCARSO O ECCESSIVO SOVRALLENAMENTO SIMPATICO

Il sovrallenamento a carico del sistema nervoso simpatico è indotto principalmente dagli allenamenti ad alta intensità tipici di pesisti, bodybuilder, weight lifter, lottatori, etc.
I “sintomi” sono soprattutto scarsa capacità di recuperare e ipereccitabilità. Pattern dei livelli energetici per questo tipo di sovrallenamento  sono stanchezza al mattino, lieve miglioramento in tarda mattinata, stanchezza accentuata e sonnolenza post pranzo, eccitabilità nel tardo pomeriggio, insonnia notturna.

SOVRALLENAMENTO PARASIMPATICO

Il sovrallenamento parasimpatico è indotto principalmente dagli allenamenti di endurance o di chi fa troppa attività “cardio”.
Il pattern di energia in chi si sovrallena in maniera parasimpatica fa sì che vi sia scarsa voglia di fare, di interagire, socializzare e che siano sempre nervosi.

MODIFICHE BIOCHIMICHE, FISIOLOGICHE E ORMONALI INDOTTE DAL SOVRALLENAMENTO

Il sovrallenamento induce delle modifiche (negative) nella biochimica, nella fisiologia e nella produzione ormonali che si riflettono nel peggioramento della performance e dell’umore.
Gli ormoni testosterone, GH, FSH ed LH si abbassano così come l’attività neuromuscolare; motivo per cui quando siamo sovrallenati ci sentiamo sempre stanchi e vuoti e con scarsa libido.
L’errore frequente in questa situazione è dare stimolanti/caffeina o pre-workout nel tentativo di aumentare l’energia. La caffeina spinge ulteriormente le ghiandole surrenali a produrre un picco di cortisolo e a rilasciare noradrenalina. Questo depaupera ulteriormente l’organismo degli importanti “ormoni della risposta allo stress” compromettendo la situazione.

Riferimenti bibliografici: 

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